Mi chiamo Rachel Corrie

Una piece teatrale tratta dagli scritti della giovane attivista uccisa a Gaza

Il 16 marzo del 2003 moriva a soli ventitrè anni Rachel Corrie, attivista americana impegnata a Rafah in azioni di interposizione. La sua morte suscitò l’emozione e lo sdegno di moltissima gente, riportando l’attenzione sulla condizione dei civili palestinesi nella striscia di Gaza; ma ci fu anche chi in patria parlò di lei come di un’ingenua, o addirittura una traditrice.

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L’anno dopo Katherine Viner, incaricata assieme al regista Alan Rickman dal Royal Court Theatre di Londra, scrive una piéce assemblando le mail, i diari e le lettere di Rachel per raccontare chi fosse questa ragazza partita dagli Stati Uniti per cercare di fare qualcosa di concreto per un popolo dilaniato da anni di guerre. Per raccontare come in fondo Rachel non fosse né un’eroina né una traditrice, ma una ragazza normale con un forte senso della giustizia. Lo spettacolo, che fa il tutto esaurito a Londra, non riesce ad andare in scena negli Stati Uniti, dove il New York Theatre Workshop decide di cancellarlo, suscitando lo sdegno di molti artisti, come Vanessa Redgrave e Harold Pinter, che si espressero pubblicamente contro questa forma di censura.

 

Mi chiamo Rachel Corrie è arrivato anche in Italia, nella traduzione di Monica Capuani e Marta Gilmore, grazie a un progetto di Cristina Spina, che ne ha data un’interpretazione grintosa e coinvolgente, in grado di restituire, al di là delle contrapposte visioni di parte, la complessità di una persona “ricordata solo per la sua morte”, raccontando i suoi sogni, le sue speranze e la caparbia voglia di cambiare le cose. Uno spettacolo che emoziona, e che speriamo continui a girare.



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