Una nuova offensiva israeliana potrebbe provocare una catastrofe nella Striscia sotto embargo. Una ragazza gazawi ci ricorda chi subirà le conseguenze, ogni volta
di Abeer Ayyoub, da +972 magazine
16 marzo 2014 – «Non ti devi preoccupare, è solo il rombo di un F-15, non un’esplosione», mi assicura mia sorella. Stiamo provando a dormire per la quinta volta stanotte, dopo che il nostro riposo è stato interrotto dal suono dei missili israeliani e dal rombo degli F-15. Non riusciamo più a distinguerli, così accendiamo la radio su una stazione locale per capire cosa stia accadendo.
L’inverno è speciale ovunque e Gaza, di certo, non è da meno. Nelle scorse settimane, durante l’escalation tra Gaza e Israele, non ho potuto fare a meno di ricordare i giorni di Piombo fuso (gennaio 2009) e Pillar of Defense (tradotta in italiano Colonna di nuvola, novembre 2012). Pressoché la stessa storia, in tutti i casi: freddo, no elettricità, news non stop sui bombardamenti, bambini in lacrime.
Anche quando i bombardamenti non colpiscono il mio quartiere, non posso estraniarmi da quest’atmosfera violenta. Ogni volta che mi alzo c’è un’esplosione, sento i droni che attraversano il cielo sopra la mia testa, come le sirene delle ambulanze che significano la necessità di accertarsi che nessuno tra i parenti, amici o colleghi sia stato colpito. Più importante di tutto, devo tranquillizzare i miei nipoti, che pensano che «la morte stia arrivando per rapirli».
Non sono mai stata colpito in uno di questi attacchi sferrati da Israele, ma devo ammettere di essere stata traumatizzata mentalmente nell’ultimo decennio. La mia testa è sempre sul punto di esplodere dal rimuginare continuo sulle possibili conclusioni di questa situazione insana. Penso alle giovani generazioni nate, cresciute e vissute sotto attacco.
Non ho mai smesso di domandarmi se sposarsi e mettere su famiglia sia la decisione giusta in questa situazione così terribile.
Con Gaza in bilico sul ciglio del precipizio, un attacco israeliano potrebbe provocare una catastofe. Il valico di Rafah è quasi sempre chiuso, i valichi commerciali soffrono delle condizioni della sicurezza, la crisi elettrica non ha una soluzione imminente, la riconciliazione palestinese non sta portando da nessuna parte, i trattati di pace sono a un punto morto e la comunità internazionale è silente. Come al solito, sono i gazawi che devono pagare il prezzo più alto.
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