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Analisi di quaranta giorni di manifestazioni e scontri nel Paese latinoamericano

di Alessandro Ingaria

25 marzo 2014 –  Più di un mese di manifestazioni, scontri e proteste in Venezuela. Più di trenta morti, un migliaio di feriti e più di mille persone arrestate . Il Presidente Maduro si appella al dialogo di pace e l’Organizzazione degli Stati Americani emette un invito al dialogo e al rispetto del principio di non intervento nei fatti interni di uno stato sovrano. Ripercorrendo gli ultimi eventi venezuelani, si vuole ricostruire la situazione del Paese Latinoamericano, anche attraverso riferimenti ad inchieste ed articoli realizzati dai quotidiani La Vanguardia,  giornale spagnolo di Barcellona,  Guardian, testata britannica, Reuters, agenzia di stampa britannica, La Jornada, quotidiano messicano, Pagina12, giornale argentino, Le Monde Diplomatique, testata francese, ed altri.

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Da mesi sui vari giornali si parla della mancanza di beni di primaria necessità. Latte, farina, mais, carta igienica e caffè sono divenuti, giorno per giorno, sempre più difficili da approvvigionare per la popolazione. In Avenida Victoria, un settore popolare di Caracas, Zeneida Caballero protestava per l’attesa senza fine, in coda per un sacco di riso di bassa qualità: «Mi riempie di rabbia che ho un solo giorno libero dal lavoro e devo buttarlo per un sacco di riso. Alla fine pago di più ai venditori per strada. Insomma, tutti questi controlli dei prezzi si sono dimostrati inutili». Era il settembre 2013 e la signora Zeneida lamentava il difficile approvvigionamento di un alimento di base. Perché un Paese ricco come il Venezuela soffre di scarsità di beni di prima necessità?

Una possibile risposta la dà Asdrubal Oliveros, un economista di Ecoanalitica, interpellato dal Guardian. Secondo l’analista, «la recente situazione in cui è difficile approvvigionare il cibo, è il risultato di una serie di elementi che vengono da lontano: un eccessivo affidamento sulle importazioni, il controllo dei prezzi e, più banalmente, la mancanza di fondi. La carenza di cibo in Venezuela non ha solo raggiunto il suo picco, ma sta durando più a lungo che mai». Continua Oliveros: «Oltre al petrolio, il Venezuela non produce nient’altro, e anche la produzione petrolifera è diminuita. C’è scarsità di valuta forte e in un Paese che importa tutto, questo diventa più evidente con la mancanza di cibo».

L’analista annovera tra le cause della scarsità dei prodotti la diminuzione della produzione in agricoltura avvenuta dopo il sequestro delle imprese e l’espropriazione di terra: «Più di 3 milioni di ettari sono stati espropriati dal 2004 al 2010. Questo, unito al tasso di cambio sopravvalutato, ha messo in crisi l’agricoltura. Oggi è più conveniente importare che produrre». Tuttavia, racconta il Guardian, nonostante la mancanza di beni, il Venezuela non soffre la fame e il tasso di malnutrizione è diminuito del 5 percento dall’ascesa di Chávez alla presidenza.

In risposta alla scarsità di cibo, Maduro aveva annunciato l’invio di ispettori che controllassero le imprese private, affinché non ci fossero deliberati rallentamenti o diminuzioni della produzione. Allo stesso tempo la decisione del governo è stata quella di incrementare l’importazione di cibo per assicurare l’approvvigionamento nei negozi. Tuttavia, le azioni messe in atto non si sono rilevate sufficienti per evitare la carenza di beni di primaria necessità.

Nel momento di particolare diminuzione del gradimento di Maduro, un gruppo politico di opposizione ha annunciato che in tutto il Paese si sarebbero realizzate assemblee e proteste lungo un mese, a partire dal 12 febbraio, giornata della Gioventù. In due giorni gli hastag #La Salida, #SoyRadical y #NoMeLaCaloMás hanno invaso la rete e i social network. Parte dell’opposizione ha aderito all’iniziativa convocando una marcia di protesta nello stesso giorno. Gli studenti di 38 città si sono uniti a #LaSalida, con l’obiettivo di chiedere un Paese libero dalla delinquenza. Privi di un obiettivo strategico o di leader, i giovani sono scesi per le strade per chiedere un cambiamento.

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Secondo il sociologo  Juan Carlos González Díaz, interpellato da La Vanguardia, gli studenti «hanno testato la propria tenacia, resistenza e capacità di fare rete e comunicare tra loro in un contesto di crescente e feroce repressione degli organi di sicurezza dello Stato». Ed è durante la marcia del 12 febbraio che vi sono stati i primi morti e più di duecento feriti. Secondo la perizia balistica le pallottole che uccisero lo studente Bassil Alejandro Dacosta e il chavista Juan Montoya provenivano dalla stessa pistola, una Glock calibro 9, accreditando la stessa matrice agli omicidi.

Il giornale Últimas Noticias, in un’inchiesta, ha dimostrato l’appartenenza degli assalitori al Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional (Sebin), l’agenzia di intelligence venezuelana. Dopo la denuncia, Maduro ha destituito il direttore del Sebin e ha ammesso che «esisteva un gruppo di funzionari che non ha rispettato gli ordini del direttore, ovvero di non scendere in strada. Io avevo ordinato di ritirare il Sebin». L’episodio di violenza ha rafforzato la decisione degli studenti di continuare la protesta. «Siamo stanchi di essere derubati sin dentro le aule delle scuole, siamo stanchi che non ci sono alimenti nei supermercati. Cresciamo in un Paese diviso, con un linguaggio politico violento. Vogliamo che il governo faccia il suo lavoro, che compia il suo dovere di rendere il Venezuela un Paese migliore dove vivere» racconta uno studente di Valencia.

La prima reazione di Maduro è stata quella di denunciare un tentativo di colpo di stato da parte dell’opposizione.  In maniera compatta il governo ha mantenuto la linea del presidente, anche quando ha chiesto un mandato di cattura contro Leopoldo López, colpevole di aver convocato la protesta del 12 febbraio. In risposta alle proteste, le azioni politiche del governo sono state la militarizzazione del Paese e  la creazione del Comando Nazionale Antigolpe, con la funzione di contrastare «i piani golpisti e fascisti che gestiscono quei settori della destra finanziati dagli Stati Uniti». L’intenzione è attivare i comandi in tutto il Paese, seguendo la formula cara a Hugo Chávez, «Attenzione in ogni fabbrica, in ogni centro di lavoro, in ogni quartiere, in ogni università. Sconfiggeremo il golpe fascista con il popolo mobilitato e organizzato».

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Secondo l’analista José Osorio l’opposizione è animata da due differenti visioni. La prima è rappresentata dal leader Henrique Capriles, che porta avanti un discorso moderato e auspica la negoziazione con il governo per uscire dalla situazione di crisi, senza rinunciare alla denuncia delle politiche chaviste. La seconda, che proviene da un conglomerato di partiti politici di opposizione, denominato Tavola dell’Unione Democratica (Mesa de la Unidad Democrática – MUD), ha optato per un’opposizione di resistenza, nella quale la strategia passa per una negoziazione in materia di sicurezza e in maggiori finanziamenti municipali. Questa posizione ha finito per essere l’ala più radicale della protesta, che considera come via d’uscita per il Venezuela il rimanere a manifestare in strada sino alla convocazione di una Assemblea Costituente che favorisca l’uscita di scena di Maduro, e cerchi un cammino di risoluzione degli alti indici di insicurezza. «Se essere contro quelli che continuano ad uccidere vuol dire esser radicale, dunque sono radicale» ha dichiarato Leopoldo López, nel convocare la manifestazione del 12 febbraio. A lato di queste due posizioni si collocano gli studenti, che non si identificano con l’opposizione e non si sentono il nuovo volto della protesta in Venezuela.

Sempre secondo il sociologo González Díaz la leadership delle manifestazioni è in mano a chi arriva da anni di militanza politica per un’alternativa al chavismo. Racconta il sociologo: «Non è desiderabile che sia così, perché un movimento privo di leader può cadere nella trappola dei radicali; quelli che poi giustificano con atti distruttivi l’uso della forza da parte dello Stato. Se questo malcontento più che giustificato si indirizza verso obiettivi politici concreti e non violenti, il governo avrà meno margini per giustificare e utilizzare i propri organi di sicurezza».

Lepoldo López è in prigione dal 18 febbraio. Fonti appartenenti alla procura segnalano che è aperta un’inchiesta a suo carico per determinare se il leader dell’opposizione ha commesso i reati di istigazione e danno alla proprietà, con la possibilità che gli venga addebitato di essere il mandante degli omicidi avvenuti negli scontri. Per molti, López sta diventando una figura eroica e il governo è cosciente di questo. González Díaz aggiunge che si tratta di un trofeo molto pesante per il governo. «Mantenendolo in carcere, hanno disattivato un discorso che evocava obiettivi eterei e soluzioni molto simili al ¡Chávez vete ya! (Chavez vattene) che tanti buoni dividendi ha reso all’autorità governativa. Per l’opposizione significa la perdita momentanea di un leader importante, rappresentante del partito con la maggiore crescita numerica alle ultime elezioni».

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Génesis Carmona, Miss Turismo del Venezuela 2013, è morta per un proiettile alla testa durante le proteste in Valencia. L’intera sequenza dal ferimento alla morte è stato riportato in tempo reale attraverso i social network. Questo è un esempio di come internet ha preso in contropiede la politica di autocensura dei maggiori mezzi di comunicazione del Paese. Luisa Torrealba, coordinatrice di Libertà di Espressione dell’Istituto Giornalismo e Società (Instituto Prensa y Sociedad – IPYS) ha denunciato che il Ministerio de Comunicación e Información in Venezuela ha emesso un avviso sulla possibilità di future sanzioni nei confronti di radio, televisioni e testate on-line che hanno documentato i fatti violenti registrati nei vari stati del Paese. «Il timore delle sanzioni ha generato un occultamento deliberato dei fatti, una mancanza di copertura importante che hanno compensato i social network» aggiunge Luisa Torrealba. In risposta alle denunce del YPYS, questo è stato accusato di ricevere fondi dagli Stati Uniti, in particolare dal governo e dal senato, attraverso Freedom House, NED (National Endowment for Democracy) e USAID, per attuare politiche statunitensi nella zona.

Un comunicato della società che gestisce Twitter ha confermato che in Venezuela sono state bloccate molte immagini che si pubblicavano attraverso questo network. CANTV (l’impresa di telefonia partecipata dallo stato venezuelano) ha smentito l’applicazione di blocchi e il Ministero della comunicazione ha denunciato che settori radicali dell’opposizione hanno fatto uso di immagini false per allarmare la popolazione e incentivare la violenza. Il Presidente ha ordinato di oscurare il canale televisivo NTN24 e ha ripetuto l’azione contro la catena CNN. Maduro ha accusato le due reti di mostrare il conflitto interno come una guerra civile per giustificare un intervento straniero.

La comunità internazionale è tanto divisa quanto le fazioni venezuelane. Prima delle proteste, i Paesi membri dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur) manifestarono un fermo rifiuto «all’intento di destabilizzare l’ordine democratico legittimamente costituito attraverso il voto popolare” e esortarono tutte le forze politiche e sociali a preferire il dialogo alla violenza. I funzionari consolari degli Stati Uniti in Venezuela sono stati espulsi dal governo per la presunta partecipazione ai violenti episodi del 12 febbraio. Il presidente Barack Obama ha qualificato come inaccettabile la situazione esortando il governo a scarcerare i manifestanti detenuti e a intavolare un dialogo tra le parti. Il presidente boliviano Evo Morales ha accusato gli Stati Uniti di inseguire un intervento in Venezuela tramite organismi internazionali affermando che “sinché esisteranno sistemi capitalistici, continueranno gli intenti di cospirazione».

Mentre gli studenti proseguono le proteste nelle strade, parte della società, insieme alle organizzazioni umanitarie, ha criticato l’operato dei militari e della polizia per i casi di presunta tortura e di detenzione illegale. «Abbiamo vergogna per la polizia e i militari che usano violenza contro i nostri figli . Non sono più militari del Venezuela, ma soldati adepti di Nicolás Maduro» ha dichiarato María Rodríguez, la madre di uno degli studenti arrestati durante le proteste in Valencia. La Ong Foro Penal Venezolano ha annunciato di avere le prove dettagliate di numerosi casi di torture di studenti detenuti nei giorni della protesta. Testimoni assicurano che le vittime hanno sofferto di scariche elettriche, violenza psicologica e abusi sessuali. Allo stesso tempo il ministro della difesa Carmen Meléndez ha dichiarato in televisione che l’esercito sarà attivo «per far fronte ai nemici interni alla patria, rappresentati dalla destra fascista responsabile delle azioni violente che si sono perpetrate nel Paese, così come all’ingerenza delle nazioni imperialiste che intendono destabilizzare la democrazia nella nazione sudamericana».

Tuttavia, vista la contrapposizione mediatica tra le parti, non è possibile confermare l’autorevolezza di nessuna delle fonti sulla questione “torture”. Secondo German Saltrón Negretti, funzionario dello stato venezuelano per i diritti umani presso il Sistema Interamericano e Internazionale, «né noi né gli altri mezzi di comunicazione, hanno la responsabilità di fare inchieste; queste devono essere realizzate dalla procura della Repubblica, che è l’organismo pubblico incaricato». L’avvocato non accredita il lavoro di organizzazioni come Foro Penal perché «sono finanziate dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea nella loro ricerca di mostrare che lo stato venezuelano viola i diritti umani».

Sul fronte internazionale, più esplicita la posizione di Human Rights Watch. «Il Venezuela non è l’unico paese della regione che ha affrontato enormi dimostrazioni, per lo più pacifiche», ha detto José Miguel Vivanco, direttore per le Americhe di HRW. «Ciò che lo distingue è il modo in cui il governo Maduro ha reagito con una combinazione di provvedimenti, che include censurare i mezzi di comunicazione, incarcerare arbitrariamente uno dei più importanti oppositori politici e applicare la forza contro i manifestanti». Secondo HRW, Le forze di sicurezza venezuelane hanno usato eccessiva e illegale violenza contro i manifestanti in numerose occasioni sin dal 12 febbraio, includendo pestaggi di detenuti e spari su persone inermi. Così come hanno bloccato trasmissioni su canali TV e minacciando di perseguire le fughe di notizie sui tentativi di occultare le violenze. Giornalisti e attivisti dei diritti umani hanno riportato violenze e intimidazioni da agenti del governo e da loro sostenitori. «Non ci sono dubbi che le violazioni dei diritti umani che sono avvenute in Venezuela meriterebbero l’attenzione dell’Organizzazione degli Stati Americani» racconta Vivanco. «Potrebbe essere un grave errore permettere al governo venezuelano di non affrontare una discussione significativa sul tema diritti umani».

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La posizione di Amnesty International è invece più neutra e con raccomandazioni indirizzate ad entrambe le parti in campo: «In un contesto politico così polarizzato, lo spargimento di sangue continuerà solo se il governo e i suoi sostenitori, così come i vari gruppi politici di opposizione, non s’impegneranno a rispettare pienamente i diritti umani» ha dichiarato Guadalupe Marengo, Deputy Director di Amnesty International’s Americas Programme, aggiungendo «Esortiamo il presidente Maduro a sostenere lo Stato di diritto e assicurare che le misure straordinarie che adotta rispettino i diritti umani di tutti in Venezuela, senza discriminazioni».  Sempre secondo Amnesty, l’arresto del sindaco di San Cristóbal per sospetto coinvolgimento nelle proteste anti-governative, è un segnale del deterioramento della situazione dei diritti umani nel Paese. «Con l’arresto di Daniel Ceballos , sospettato di ribellione e cospirazione, le autorità venezuelane sembrano mettere in scena una caccia alle streghe contro i leaders  dell’opposizione» racconta la Marengo.

In molti punti del Paese alcuni componenti dell’opposizione, ritenuti dal governo come l’ala radicale, hanno iniziato a elevare le cosiddette guarimbas. Questo è il modo in cui vengono chiamate le barricate nelle strade principali delle città, composte da pneumatici incendiati, filo spinato e barre di acciaio. L’obiettivo è evitare il movimento libero dei veicoli, paralizzare il traffico e le attività produttive. Queste barricate hanno provocato due morti: Elvis Durán, che viaggiando con la sua motocicletta si è schiantato in una di queste barriere e Danny Varda, ferito con un coltello dagli organizzatori delle guarimbas. Il governo ha accusato il Generale dell’esercito in pensione Ángel Vivas di organizzare e dirigere le guarimbas fornendo indicazioni tramite Twitter sui movimenti e le tecniche della Guardia Nazionale Bolivariana, sull’uso di bombe artigianali, sul rendere inoffensivi i veicoli blindati e sull’utilizzazione di barriere di filo spinato e barre di acciaio nelle strade per neutralizzare le squadre motorizzate che difendono il governo.

Mentre il fronte governativo è compatto, meno monolitico è quello dei governatori degli stati. Come riportato da Pagina12 il governatore di quello di Miranda, che include Caracas, dissente dalla linea di Maduro: «Questo non è un colpo di stato; c’è una protesta perché c’è un malessere sociale. Il fatto che parte della popolazione protesta contro cose con cui non è d’accordo, non significa che la protesta debba essere criminalizzata. Qualunque venezuelano può chiedere le dimissioni di Maduro, e ha mille ragioni per chiederne un passo indietro».

Il Venezuela, come evidenzia Pagina12, il Paese si confronta con un periodo di rallentamento della crescita economica, dal 5,6 percento nel 2012, al 1,6 percento nel 2013, in un contesto di inflazione pari al 56,2 percento e una svalutazione al 31,7 percento. E, secondo Nelson Merentes, presidente del Banco Centrale del Venezuela, l’economia avrà solo una lieve crescita nel primo trimestre 2014, anche a causa delle proteste contro Maduro. «L’economia, non si può nascondere, ha un’alta inflazione, scarsità di beni e la crescita è debole» ha ammesso Merentes, precisando che c’è una crisi, ma «che non è così profonda come sostengono alcuni analisti».  Ammettendo che il Paese soffre una crisi economica, il presidente del Banco Centrale, prevede un impatto positivo dalle nuove misure del governo, tra cui un nuovo meccanismo di cambio basato tra l’offerta e la domanda di valuta, pur senza annullare del tutto il controllo statale che vige nel Paese da undici anni.

Il valore del dollaro nel mercato nero si è abbassato nelle ultime settimane da 90 a 70 bolivar per dollaro. Quando inizieranno gli effetti del nuovo meccanismo di cambio dovrebbe abbassarsi ulteriormente.  Considerando che il valore del bolivar sul cambio ufficiale è pari a un dollaro uguale circa 6 bolivar, è chiaro che la strada da percorrere è ancora lunga. Il nuovo sistema permetterà ai privati, al governo e alle imprese di vendere e acquistare valuta senza limiti, ha annunciato il ministro del petrolio, Rafael Ramírez.

Particolare preoccupazione desta l’interesse statunitense nella questione, in quanto è chiaro che la politica estera USA nella zona è a favore della caduta di Maduro. Ancora una volta, come evidenzia il Guardian, la spinta nordamericana a rovesciare un governo, rischia di contrapporre Washington contro il Sudamerica. Nel bilancio federale esistono fondi dichiaratamente allocati per il sostegno all’opposizione in Venezuela e le lamentele di Kerry per i presunti brogli nelle ultime elezioni sono cessate solo nel momento in cui il blocco degli altri stati sudamericani ha protestato a tal punto da costringere gli Stati Uniti a riconoscere la vittoria di Maduro.

Alla luce di questo Ignacio Ramonet, di Le Monde Diplomatique in lingua spagnola, disegna l’attuale situazione in Venezuela come un disegno pianificato da alcune frange estremiste al fine di prendere il potere secondo una chiara strategia: 1) utilizzare il malcontento di un gruppo sociale per provocare proteste violente 2) organizzare manifestazioni di solidarietà con i detenuti 3) infiltrare agitatori armati tra i manifestanti con la missione di provocare vittime in entrambi gli schieramenti; 4) far salire il livello della protesta e la sua violenza  5) intensificare l’assalto dei media, con l’appoggio dei social network, contro la repressione del governo; 6) ottenere che le grandi istituzioni umanitarie condannino il governo per uso eccessivo della violenza; 7) ottenere che governi amici lancino avvertimenti alle autorità locali.

La lunga elencazione di fatti, di ingerenze e di eccessi di violenza da entrambi le parti può ancora essere arricchita dal parere, tratto ancora da Le Monde Diplomatique, di José Natanson, direttore dell’edizione Cono Sud: «Da una serie di proteste studentesche che chiedono maggiore sicurezza sono derivati una successione di fatti di violenza che causarono più di trenta morti in ambo le parti. Hanno contribuito al disastro il rinnovato protagonismo dei settori più radicali dell’opposizione, che erano rimasti relegati dall’ascesa di Henrique Capriles (…) Ma la situazione sarebbe incomprensibile se non si considera anche la reazione repressiva del governo, che ha utilizzato la polizia per evitare manifestazioni, che ha incoraggiato i sostenitori a disarmare le barricate con la forza (“spegnere la candela” nelle parole di Maduro), e che mantiene in prigione un dirigente dell’opposizione».

Anti-government protesters run away from a water cannon in Caracas

Continuando l’articolo, Natanson dice che «è difficile determinare la linea esatta che separa il colpo di stato dall’esercizio democratico dell’opposizione, che include sicuramente il diritto a manifestare nelle strade e ad organizzarsi nei social network e con i mezzi di comunicazione, e cose che sono state confuse con l’intento di destabilizzare. (…) La seconda difficoltà analitica si riferisce al carattere ambiguo del tipo di governo che si è consolidato in alcuni Paesi latinoamericani, che non si può descrivere come autoritario, però indubbiamente include una diminuzione della componente repubblicana, e in minore misura anche della componente liberale, propria di qualunque democrazia. A questo si somma, in Venezuela, la nuova eliminazione del freno più importante che storicamente incontrarono le democrazie presidenzialiste per prevenire la tentazione autoritaria: il limite temporale all’esercizio del potere pe la stessa persona (Venezuela è l’unico Paese sudamericano con possibilità di rielezione infinita). Si tratta di un limite cruciale: i mandati lunghi generano effetti nocivi al governo, come il controllo dell’apparato statale implica sempre un disequilibrio a proprio favore che dopo è molto difficile rompere (…). Ma la rielezione indefinita colpisce anche l’opposizione, che può convincersi, con o senza motivo, che non arriverà mai il proprio turno, che a sua volta porta che finisca la necessaria pazienza democratica e aumentano le possibilità della deriva autoritaria, come succede in Venezuela. Per questo l’alternanza è buona in sé».

Secondo molti analisti le cose non potranno che peggiorare nel Paese estendendosi in molte altre zone. Da un lato il governo non sembra rendersi conto dell’escalation di proteste, mentre dall’altra le opposizioni  sembrano non trovare una propria rappresentanza nel dibattito con chi detiene il potere. E probabilmente da questo conflitto non uscirà nessun vincitore. Infatti, sia il governo che le opposizioni hanno perso credibilità agli occhi della gente.

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