Shia’t Alì – 4

La Lega Araba, in Kuwait, mostra tutte le spaccature che attraversano un mondo in fiamme, dal Golfo Persico alla Siria

di Christian Elia

Il progetto Shi’at Alì 2003-2004/2013-2014 – Viaggio nel decennio del rinascimento sciitaa cura di Christian Elia, continua. Seguiranno reportage vecchi e nuovi, interviste, contributi, testimonianze e narrazioni di sé.

27 marzo 2014 – Una sedia è rimasta vuota. E’ quella della delegazione siriana. Perché dopo l’espulsione del regime di Assad, in tanti hanno fatto marcia indietro sul fatto che a rappresentare Damasco in seno alla Lega Araba fosse l’opposizione legata alla Coalizione nazionale siriana.

Un ginepraio, un mosaico con sempre più tessere scheggiate. Questa la Lega Araba, nata nel 1945, in un clima tutto legato al nazionalismo arabo, alla decolonizzazione e all’affrancamento dalla tutela occidentale. Nel tempo è divenuta tutt’altro. Quella che si è riunita a Kuwait Cty per due giorni (25-26 marzo scorsi) è ormai un contenitore che ribolle delle divisioni interne.

Il primo punto di frizione, ormai evidente, è il Qatar e la sua politica estera. Per decenni, la famiglia reale di Doha si è limitata a un ruolo di vassallo dell’Arabia Saudita, ma negli ultimi anni ha puntato forte su una propria politica estera, smaccatamente vicina ai Fratelli Musulmani, appoggiati e finanziati in tutto i mondo, con il megafono di al-Jazeera come ripetitore di idee e progetti.

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L’Arabia Saudita è rimasta a guardare, per molto tempo, ma ora dice basta. Il 5 marzo scorso, su iniziativa di Riad, prontamente seguita da Bahrein (che senza l’appoggio dei sauditi sarebbe stato travolto dalla rivolta sciita) ed Emirati Arabi Uniti, sono stati richiamati gli ambasciatori di questi tre paesi dal Qatar. Una rottura evidente, pubblica, lontana dagli standard di questi ricchi re, che hanno sempre trattato come in un club privato i loro affari di Stato. Tanto che la stampa finanziata dal regime saudita, da mesi, attacca con violenza il Qatar e le sue presunte ‘trame’ internazionali.

L’Arabia Saudita vuole rompere con i Fratelli Musulmani: ha tentato già di far passare nero su bianco una risoluzione in questo senso nel Consiglio di Cooperazione del Golfo, ma il Qatar non ha accettato. La tensione è alle stelle, ma Doha non pare intenzionata a fare passi indietro, forte di un rapporto solido con gli Usa e di una liquidità che pare infinita. Anche alla luce delle battute d’arresto segnate in Tunisia ed Egitto, rivolte arabe finite come voleva Doha, ma naufragate in una transizione morbida a Tunisi e in una debacle da golpe dei militari egiziani, con centinaia di Fratelli Musulmani condannati a morte, nel silenzio della Lega Araba.

Altro elemento di freddezza nel cuore del consesso delle leadership arabe è l’Iran. L’Arabia Saudita vede Teheran come un pericolo costante e non si sente rassicurata dalla fine dell’era di Mahmoud Ahmadinejad. La mediazione del sultano Qabus dell’Oman, che ha avvicinato Iran e Usa, è stata accolta come una provocazione da Riad, che usa il conflitto sunniti-sciiti per sancire il proprio predominio religioso e politico nel mondo islamico.

Dopo le iniziative dell’Oman, Riad ha dovuto incassare un altro schiaffo: Il 15 marzo scorso, per la prima volta, si è riunito il comitato tecnico congiunto di Doha e Teheran. Un’iniziativa di largo respiro, dalla gestione e vendita delle risorse, fino al dossier nucleare. In Arabia Saudita questo è stato percepito come poco meno di un attacco militare.

Oltre il Qatar e l’Iran, il dossier rovente è quello della Siria. Ahmed Jarba, leader della Coalizione nazionale di opposizione siriana, è stato invitato al summit della Lega Araba. La sua delegazione, però, non occuperà il seggio riservato alla Siria fino a quando non “regolarizzerà alcune procedure legali”, dal momento che Assad è ancora formalmente a capo della Siria, nonostante la sua sospensione dalla Lega Araba nel 2011.

Una questione burocratica, dopo un iniziale supporto senza tentennamenti, che denuncia una sorta di pausa di riflessione. Unica certezza è una risoluzione approvata all’unanimità per spingere il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ad addossarsi la responsabilità del fallimento della conferenza di Ginevra sulla Siria.

Salman bin Abdulaziz, principe saudita, ha aperto i lavori della Lega Araba specificando che: “Per uscire dalla crisi siriana occorre cambiare l’equilibrio delle forze sul terreno, fornendo piu’ aiuti ai ribelli”.

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Questo punto, però, incontra le resistenze di Iraq e Libano, oltre che dell’Algeria e all’ultimo momento anche dell’Egitto.
I primi due per le ricadute interne della questione del conflitto sciiti- sunniti, che in Siria vive uno dei suoi teatri, veri o presunti, mentre Algeri (visto il suo recente passato) non vede di buon occhio le milizie integraliste che si sono insediate in Siria, almeno quanto i militari del Cairo. Durissimo il commento del ministro degli Esteri iracheno, Hoshyar Zebari, sulla richiesta della Coalizione di ottenere il seggio siriano: “Dove è la loro sovranità? Dove è la loro autorità? Non sono uno Stato, non hanno un governo”.

La stessa Coalizione, però, è divisa. Ahmed Jarba, che ha parlato per gli oppositori di Assad, non sembra leader in grado di raccogliere i consensi di tutte le anime della Coalizione. Ritenuto troppo vicino all’Arabia Saudita, è stato attaccato da Michael Kilo, storico leader dissidente di Damasco, che lo ha molto ridimensionato in alcune dichiarazioni pubbliche. Mentre i civili, in Siria, sono sempre più soli.

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