Ad un anno dalla loro costituzione, le Autodefensas di Michoacán sono sempre più un’incognita, in bilico tra guerra civile e narcotraffico
[author][author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/02/carpen.png[/author_image][author_info]di Filippo Carpen. Neolauraeato (leggi disoccupato), svolta le sue giornate pedalando, leggendo e scrivendo (non mentre pedala). Ama la geopolitica, le relazioni internazionali e altre cose noiose; è estremamemnte sintetico.[/author_info] [/author]
28 marzo 2014 – Da un anno nello stato di Michoacan, in Messico, si sono costituiti dei gruppi di autodifesa che oggi sono arrivati a contare tra le proprie fila migliaia di cittadini. Il motivo è presto spiegato: la violenza dilagante che attanaglia il Paese centro-americano. Nell’assolata valle di Guayangareo sorge Morelia, la capitale dello stato, dal 1991 patrimonio dell’Unesco per la bellezza del suo centro storico, i cui antichi palazzi in stile coloniale risalgono agli albori del XVI secolo. Da poco più di un anno però, Morelia e lo stato michoacano sono al centro dell’attenzione mediatica non per la ricchezza culturale o lo splendore delle sue residenze signorili, bensì per un fenomeno che ha fatto scuola anche in altri stati federali, le “Autodefensas”. Cosa sono esattamente?
A questa domanda possiamo dare una risposta che affronta due aspetti, uno di carattere concettuale e l’altro meramente esplicativo. Possiamo definire le Autodefensas o Policia Comunitaria, come l’essenza del fallimento dello stato messicano in termini di sicurezza e controllo del proprio territorio. Mentre, per quanto riguarda il secondo aspetto, possiamo definire questi gruppi paramilitari come “associazioni volontarie” di cittadini che hanno impugnato le armi, laddove le autorità statali e federali preposte alla pubblica sicurezza non riescono e non vogliono porre freno alla violenza.
Questo fenomeno, ormai diffusosi in molti stati messicani e condiviso dalla maggior parte della popolazione che abita questi luoghi martoriati dalla violenza, presenta tuttavia un pericolo non trascurabile.
In Messico si sta replicando quanto avvenuto decenni prima in Sudamerica, specialmente in paesi come Colombia e Brasile o in altre zone centrali del continente come El Salvador o Nicaragua. Organizzazioni di cittadini o di appartenenti a determinate categorie, che imbracciano le armi per tappare le falle di una giustizia assente, ma che spesso tuttavia si tramutano in organizzazioni paramilitari in aperto contrasto ad essa. Movimenti che dovrebbero essere una “stampella” in aiuto alle autorità statali, finiscono per trasformarsi in “bastoni” con cui colpirle. Esempio lampante di ciò, il movimento colombiano delle AUC- Autodefensas Unidas de Colombia– fondato dall’Italiano Salvatore “El Mono” Mancuso. Nato per proteggere gli interessi dei latifondisti durante la violenta lotta armata tra le FARC e il governo colombiano negli anni ‘80, si tramutò ben presto in un’organizzazione dedita alla produzione e al traffico di cocaina verso l’Europa. Facendo di Mancuso il referente principale dei clan calabresi in Sud America.
Il governo messicano già coinvolto a tempo pieno nella lotta al narcotraffico vuole evitare la degenerazione di queste unità. Lo scorso febbraio ha così integrato questi movimenti nei reparti della polizia rurale e ha dispiegato in maniera massiccia reparti dell’esercito nelle zone più calde del paese. Ma non basta.
Molti in Michoacan non si fidano del governo e tanto meno della polizia, delle false promesse di chi è accusato più o meno direttamente di essere a libro paga di coloro che dovrebbero combattere. Per questo motivo gli accordi che hanno inquadrato le Autodefensas nei corpi di polizia rurale a molti non sono andati giù, considerando che un punto dell’intesa è quello della consegna di tutte le armi da fuoco in loro possesso. Negli ultimi mesi poi, come riportato dal “Los Angeles Times” e dal quotidiano messicano “Milenio”, sono iniziate a circolare voci riguardo possibili infiltrazioni e finanziamenti delle Autodefensas da parte dello stesso cartello dei Caballeros Templarios, che pagherebbe circa 25 milioni di dollari all’anno per garantirsi l’appoggio di molte autorità michoacane. A fine gennaio inoltre, Il Procuratore Generale della Repubblica, Jesus Murillo Karam, ha rivelato che molte delle armi in possesso ai gruppi di autodifesa sarebbero state fornite dal Cartel de Jalisco Nueva Generacion, anch’esso molto attivo nello stato ed in aperto contrasto con i templari.
Una situazione abbastanza confusa, a cui certo non ha contribuito l’arresto di Hipolito Mora, uno dei fondatori dell’organizzazione, riconosciuto da alcuni testimoni, nel gruppo che avrebbe assassinato due uomini. I corpi, rinvenuti carbonizzati sabato 8 marzo, fanno calare sospetti pesanti sull’attività di alcune cellule all’interno del movimento. Josè Manuel Mireles, portavoce delle milizie di autodifesa in Michoacan, ha risposto indignato a tali insinuazioni, ribadendo : “ Consegneremo le armi quando il governo federale ripulirà lo stato, dalle più alte cariche fino agli enti locali”.
Per Pena Nieto – il presidente alla guida del Messico da 15 mesi- si preannunciano tempi duri. Nonostante l’arresto di Loya Plancarte, uno dei capi del cartello dei Caballeros Templarios, e quello ben più clamoroso del Chapo Guzmàn, venti giorni fa, siano un buon segnale per l’opinione pubblica, la strada per la normalizzazione del paese è ancora lunga e faticosa.