Dopo le mitragliate al barcone dei presunti scafisti nel Canale di Sicilia ci si interroga sulle responsabilità politiche
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di Gaetano De Monte, da Meltingpot
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28 marzo 2014 – Le immagini parlano da sole. Quelle girate il 9 Novembre da alcuni militari della nave Aliseo impegnati nell’operazione Mare Nostrum – e diffuse soltanto stamattina in una conferenza stampa organizzata da Radio Radicale e dal partito per i diritti dei militari – ci mostrano, innanzitutto, una vera e propria caccia armata a degli esseri umani.
Sono le ore 16,42, quando la fregata della Marina Militare Italiana si lancia all’inseguimento della “nave madre” con a bordo sedici presunti scafisti, che ha appena abbandonato 176 profughi siriani su un peschereccio al largo di capo Passero, nel canale di Sicilia. Da allora, per diversi minuti, saranno alcune centinaia i colpi sparati dai mitragliatori Mg dell’Aliseo; a far fuoco due marò, posizionati a una quarantina di metri dalla poppa del bersaglio, cioè dall’imbarcazione dei presunti scafisti, sedici egiziani, tra cui tre minori.
Il fuoco italico, nostrum appunto, è palese, in tutta la sua drammaticità, nel materiale video mostrato stamattina dai radicali alla Camera dei Deputati. Che in tutti i casi stride fortemente con quelle che sono le verità ufficiali. Ed è questo, un primo punto su cui occorre riflettere. Infatti, il comandante della nave Eliseo, Massimiliano Siragusa, – raccontando i dettagli dell’operazione ad una tv locale siciliana – parlerà soltanto del “salvataggio” dei 176 migranti “recuperati dalla nave Stromboli, trasferiti sul mezzo anfibio San Marco e portati in salvo a Catania” e ometterà il ruolo assunto nell’operazione dai marò al suo comando.
E perché dichiarerà che la “nave madre” era poi affondata a causa delle condizioni meteorologiche avverse? Dato che – come le immagini permettono di appurare – il mare era calmo, e le condizioni meteo tutt’altro che sfavorevoli. Dunque, perché la Marina ha taciuto sugli spari e sul dinamico susseguirsi degli eventi?
Una versione dei fatti, che fu fatta propria anche dall’allora ministro della difesa Mauro che “ha seguito personalmente le fasi dell’operazione”, così si legge in un comunicato che fu diffuso il giorno seguente dallo Stato Maggiore. E che introduce, forse, un punto dirimente, ulteriore, da cui partire per provare ad azzardare delle ipotesi su quanto accadde veramente tra il 9 novembre e il 10 Novembre dello scorso anno, nelle acque internazionali antistanti il Canale di Sicilia. Ovvero, di chi era la responsabilità dell’intera catena di comando: cioè il complesso dipanarsi degli ordini dati dai comandi di terra alle navi in mare. Un tema che si correla in qualche modo anche a quello delle regole di ingaggio. A come debbano comportarsi con il nemico potenziale i militari italiani impegnati nelle missioni “umanitarie”, come Mare Nostrum, appunto.
A quali reati siano autorizzati a compiere nell’esercizio delle funzioni. Comunque, al di là delle responsabilità penali, che saranno accertate o meno, dalla Procura Militare di Napoli che ha aperto un fascicolo d’indagine, resta un nodo da sciogliere: quello della responsabilità politica di chi permette che azioni di “guerra gratuita” come questa accadano. Perché, -come hanno spiegato durante la conferenza stampa – l’ex deputato radicale Maurizio Turco e Luca Comellini, co-fondatori del partito per la tutela dei diritti militari, (Pdm) grazie a cui sono state diffuse le immagini “i presunti scafisti non hanno sparato, e non avevano armi a bordo, tra l’altro”.
Quindi, nessuna giustificazione può essere ammessa a riguardo. Perché il fuoco proveniente dalle micidiali Mg che ha rischiato di uccidere sedici persone nella notte tra il 9 e il 10 novembre, è nient’altro che l’esito delle politiche di respingimento, e del suo cinismo istituzionale.
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