Argentina, desaparecidos. Una generazione intera rapita, torturata, uccisa. Un popolo che è rimasto in attesa di giustizia e verità
di Aigul Safiullina, tratto da Pressenza
Traduzione a cura di Raoul Resta: raoresta@gmail.com
Editing fotografico a cura di Fabio D’Errico
28 marzo 2014 – All’alba del 14 maggio del 1976, dopo appena un mese e mezzo dall’istaurazione del Processo di Riorganizzazione Nazionale in Argentina, cinque uomini armati entrarono in un appartamento di via Santa Fe y Aguero per cercare Monica Mignone, una militante del Movimento Villero Peronista (MVP). Dopo un operazione di circa mezz’ora, gli uomini fecero sedere la ventiquattrenne sul sedile posteriore di una Ford Falcon verde e la portarono alla Scuola di Meccanica dell’Armata (ESMA), che in quel periodo fungeva da centro di detenzione segreto. Ai suoi genitori e ai suoi fratelli dissero che sarebbe stata riconsegnata dopo alcune ore di interrogatorio, e che avrebbero dovuto rimborsare lo stato della spesa del taxi che l’avrebbe riaccompagnata a casa. Fu l’ultima volta che la videro.
Emilio e Angelica “Chela” Mignone si rimproverano continuamente di non aver opposto resistenza a coloro che si stavano portando via loro figlia. L’instancabile ricerca di Monica divenne il fulcro della loro vita e di della loro casa, il palco della loro lotta. Durante la dittatura diedero rifugio a centinaia di familiari di desaparecidos e fondarono il Centro di Studi Legali e Sociali (CELS) e le Madri di Plaza de Mayo, due dei movimenti più importanti del paese in materia di diritti umani.
Oggi, l’essenza di quel luogo è ancora intatta: la prima cosa che si vede entrando nell’appartamento è la foto in bianco e nero di Monica, appesa al muro, come se non fossero passati 37 anni senza ricevere sue notizie. Circondate da antichi libri e ricordi, le sue sorelle si riuniscono in questo stesso luogo per parlare del patrimonio intellettuale lasciato dai loro genitori, e di come il dolore di un sequestro si sia trasformato nella forza che ha fatto andare avanti questa famiglia.
Emilio Mignone, avvocato, docente, cattolico e peronista, fondatore dell’Università Nazionale di Lujàn e del CELS, morì nel 1998, all’età di 76 anni, senza sapere cosa fosse successo a sua figlia in quella fatidica notte. La stanza-ufficio dove ideò molte delle iniziative correllate alla scomparsa di migliaia di persone durante la dittatura, conserva ancora scaffali pieni di libri e documenti. ”Papà lavorava tutti i giorni, dalla mattina alla sera, senza riposo”, ricorda Mercedes Mignone, terza figlia di Emilio.
Nello stesso tempo, non trascorreva nemmeno un giorno senza che “Chela” Mignone non parlasse di Monica. “Tutti quelli che conoscevano mia madre, in un certo senso conoscevano anche Monica”, dice Mercedes. “Chela” fu una delle co-fondatrici delle Madri di Plaza de Mayo nel 1976 e lavorò fianco a fianco a suo marito fino alla morte di lui. Visse i suoi ultimi giorni nello stesso appartamento in cui aveva sempre vissuto, anche quando non poteva più camminare e doveva essere assistita dalla sua famiglia e da alcune infermiere. Il dolore per la perdita di Monica si si aggiunse quindi alla sua disabilità fisica e “Chela” morì nel 2008 all’età di 89 anni.
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“Emilio e “Chela” ebbero cinque figli: Isabel, Monica, Mercedes, Fernando e Javier”, racconta Santiago del Carril, figlio di Isabel, che attualmente vive in questo appartamento nella zona Barrio Nord. “Ogni figlio ereditò una caratteristica di Emilio: mia madre ha studiato Relazioni Internazionali e ora lavora nel campo dello sviluppo internazionale e dei diritti sociali; Monica era socialmente e politicamente impegnata, lavorando e militando nelle baraccopoli; Mercedes aiutava sempre tutti, pensando prima agli altri poi a se stessa e ora lavora come tecnica di laboratorio all’ospedale Fernàndez. Fernando ereditò la forza della fede e decise di diventare sacerdote dell’Opus Dei; Javier scelse la strada di educatore e di ricercatore, lavorando con i popoli nativi e studiando nuovi trattamenti in campo medico”.
Quando aveva 24 anni Monica lavorava come docente all’Università Nazionale di Lujan prestava servizio presso il reparto psicopedagogico dell’ospedale di Piñero, in provincia di Buenos Aires. Lavorava soprattutto con bambini con problemi di apprendimento e si occupava dei meno abbienti.
“Io e Monica eravamo quasi coetanee e fin da ragazzine abbiamo sempre aiutato gli altri, grazie all’esempio fornito dai nostri genitori e all’educazione cattolica ricevuta”, assicura Isabel, sorella maggiore di Monica. Una sessantatreenne di corporatura magra, con la frangia da un lato e il cui perenne sorriso toglie almeno dieci anni e le dona sicurezza.
Prima di parlare del ruolo che la religione ha avuto nella sua famiglia, propone di leggere parte del libro scritto da suo padre, dove Emilio descrive la sua città natale, Lujàn. Un centro di pellegrinaggio per migliaia di fedeli, a 68 chilometri da Buenos Aires e con una popolazione di 100mila abitanti. Il che spiega in parte la forza della fede presente all’interno della famiglia Mignone. Le tre figlie di Emilio studiarono al Colegio Católico de las Hermanas Vicentinas di Lujàn per poi trasferirsi a Buenos Aires, dove frequentarono il Collegio de la Misericordia nel quartiere Flores. In seguito, vissero negli Stati Uniti per cinque anni, dove frequentarono la scuola pubblica.
I contatti che Emilio Mignone allacciò durante i suoi studi a Washington come esperto di educazione presso l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) furono essenziali per avviare l’ispezione del 1979 in Argentina, da parte della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH). La CIHD aprì un indagine a partire dalle denunce contro la dittatura militare, e grazie al “Rapporto sulla condizione dei diritti umani in Argentina”, pubblicato nel 1980, per il terrore di Stato iniziò il conto alla rovescia che precede la fine.
Quando i Mignone tornarono in Argentina nel 1967, i giovani fratelli iniziarono a frequentare le baraccopoli del quartiere Bajo Flores, contribuendo all’organizzazione di tavoli di lavoro dove si discuteva di educazione infantile e di proposte politiche. A quel tempo, Monica era la più attiva in campo sociale e decise di unirsi al MVP con sei altri amici. “ Era cosapevole del fatto che non si potevano cambiare le condizioni delle baraccopoli semplicemente dando una mano agli abitanti,” ricorda Isabel con un sorriso triste e continua: “Era ovvio dovevano verificarsi anche dei cambiamenti politici”,conclude. Tuttavia, il cambiamento arrivò, ma da un’altra direzione e si concretizzò quando cinque uomini in uniforme irruppero nell’edificio di Avenida Santa fe e portarono via Monica.
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Il dramma familiare e la necessità di trovare la figlia trasformò i coniugi Mignone in militanti e attivisti che si impegnarono a livello nazionale de internazionale per evitare sequestri e uccisioni di civili. Molte persone dormivano nell’appartamento dei Mignone.
Tutti i figli di Emilio e Chela furono perseguitati, tranne Fernando che, a qualche mese dal sequestro di Monica, si trasferì in Canada per entrare a far parte dell’Opus Dei. ”Avevo molta paura e pensavo di tornare negli Stati Uniti,” confessa Mercedes.” Però sei stata l’unica che è rimasta in Argentina”, le risponde Isabel.
Isabel si trasferì negli Stati Uniti nel dicembre del 1981 e sposò il giornalista e filosofo argentino Mario del Carril. Tuttavia, continuò a dare il proprio appoggio al padre e al movimento in materia di diritti umani e ottenne anche il sostegno di Washington. Isabel ritorna in Argentina ogni anno per rivedere la sua numerosa famiglia, composta anche da cugini e nipoti, e per partecipare alle attività organizzate per commemorare i genitori e la sorella desaparecida.
A differenza della sorella maggiore, Mercedes è una persona più timida, docile e paziente. Parla piano e colora le frasi con molti dettagli. Dice di essere stata la più “legata” ai genitori e dopo essersi sposata e aver lasciato la casa paterna continuò comunque ad usare il telefono che si trovava nell’appartamento di Santa Fe per molti anni.
Sono molti i ricordi di Mercedes relativi agli anni di lotta civile dei Mignone e in ogni angolo della sua casa ci sono storie da raccontare. “ Molte volte ricevevamo chiamate da parte di genitori che non vedevano rientrare a dormire i propri figli”, racconta Mercedes col sorriso: “In alcuni casi, questi giovani non tornavano perchè uscivano a festeggiare con i loro amici o con la relativa fidanzata o fidanzato, però papà si sincerava comunque che tutto fosse a in ordine”.
Inoltre Mercedes ricorda il giorno in cui i militari portarono via suo padre nel 1980. ”Pensavamo che non l’avremmo più rivisto, però il suo nome e il suo prestigio avevano un rilievo internazionale, e furono appunto le pressioni mondiali a non permettere che anche Emilio Magnone sparisse”. Emilio trascorse una una settimana in carcare senza subire torture.
Tuttavia, non tutti i familiari dei desaparecidos spirarono nella tranquillità delle loro dimore. Prima di essere arrestata, nel dicembre 1977, Azucena Villaflor, un’altra attivista e co-fondatrice delle Madri di Plaza, trascorse una notte nel medesimo appartamento per redigere l’elenco dei nomi dei figli scomparsi che sarebbe stato pubblicato nel quotidiano LA NACIÓN. Una volta uscita di casa per andare a comprare il quotidiano in questione, Villaflor venne sequestrata per poi essere torturata e uccisa per mano dei militari.
Nel 2009, 32 anni dopo la morte dell’attivista, la famiglia Magnone ricevette il premio “Azucena Villaflor” dalle mani della presidentessa Cristina Fernández de Kirchner, dedicato al ricordo del percorso civile intrapreso da persone e istituzioni impegnate nella difesa dei diritti umani e della democrazia”. Emilio Mignone fu uno dei quattro genitori a ricevere il premio.
Nell’agosto e nel settembre del 2013, 37 anni dopo la scomparsa di Monica, fratelli Mercedes e Javier deposero, per la prima volta, al processo ESMA unificata (ESMA III), presso i tribunali di Comodoro Py, in quanto testimoni del sequestro della sorella.
Dieci anni dopo l’udienza, Isabel aprì un laboratorio sui diritti umani presso l’istituto Municipale Superiore di Istruzione e Tecnologia “Emilio Fermìn Mignone”, nella città di Lujan, a cui donò vari libri scritti da Emilio e la sua stessa biografia: “La vita di Emilio Mignone” di Mario del Carril.
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L’appartamento dei Mignone odora di libri impolverati e, per lo più, odora di tristezza e di dolore congelato nel tempo. Nonostante un assenza di quasi quarant’anni, Monica è sempre stata ben più di una foto appesa in soggiorno, in corrodio e in camera, ma è rientrata nella quotidianeità dei suoi genitori, dei suoi fratelli e addirittura dei suoi nipoti.
I libri occupano le pareti del soggiorno, dello studio e dei corridoi in casa Mignone, si intrecciano e si ricongiungono come alberi di un bosco, alcuni appoggiati al suolo, altri sulle sedie e sull’enorme tavolo della sala da pranzo. Qualche foto li accompagna, senza però assumere un ruolo di protagonismo.
Santiago cammina fino al fondo del corridoio dove sulla destra si trova un’altra stanza con i muri celesti, un grande guardaroba con molti specchi. Era questa la stanza che condividevano le tre sorelle e fu qui che Monica venne svegliata dai militari al momento del sequestro. Quella notte Isabel era in viaggio. Fu Mercedes che aiutò Monica a vestirsi, per l’ultima volta nella sua vita.
Ora la stanza delle sorelle è occupata da Santiago che ha creato la sua piccola biblioteca personale con i libri del nonno e altri che parlano di storia, di filosofia e di diritti umani. Senza dubbio, l’abitudine alla lettura ha segnato la famiglia Mignone ed è stata ereditata dai figli e dai nipoti.
Da tempo Santiago e sua cugina (paterna), Raquel Pannunzio, stanno catalogando un gran numero di libri e di documenti che trattano la storia dei Mignone, per temi, per data di pubblicazione, a volte in base al nome degli zii. Ci sono casse con sopra scritto istruzione, politica, stampa, riforme educative, chiesa. Sette enormi casse portano l’etichetta “Monica” e “mancano ancora molti documenti”, dice Raquel.
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Le sorelle Isabel e Mercedes ritornano a parlare del ruolo della Chiesa durante la dittatura e concordano che sul fatto che “si deve separare la fede dalla gente”. Nel 1986 Emilio Mignone pubblicò il libro “Chiesa e dittatura” dove esaminò il ruolo della chiesa e il potere politico di quest’ultima, in complicità con la dittatura militare. In questo libro, Mignone cita l’esempio di un’altra chiesa che fu perseguitata per il suo aiuto ai prigionieri politici, per il suo lavoro nelle baraccopoli e per la propensione ad aiutare i più poveri. “Il discorso in cui Bergoglio afferma che la chiesa deve stare dalla parte dei più poveri non è per niente nuovo,” conclude Isabel con voce decisa.
In quanto al futuro, le sorelle hanno una visione diversa. “Mi sembra che il tema dei desaparecidos abbia ormai stancato la gente. La maggior parte degli argentini ignora che da qualche anno si stanno svolgendo i processi ai militari, a cui i mezzi di comunicazione non danno lo spazio e l’attenzione che questi meriterebbero. Gli argentini di oggi hanno altri problemi,” sostiene Isabel, sulla base dei suoi viaggi in Argentina. Mercedes non è d’accordo: ” Credo che dobbiamo lavorare ancora molto su questo capitolo della nostra storia, perchè fa parte di noi”.
Tuttavia le due sorelle hanno un punto in comune: “Negli anni settanta molte famiglie decisero di non mobilitarsi e di tacere, mentre i nostri genitori uscirono allo scoperto, senza paura. Il dolore era più forte della paura e aiutò migliaia di desaparecidos. Adesso siamo noi che dobbiamo andare avanti e assicurare che si faccia giustizia”.