5 Broken Cameras

Oggi, a Bergamo, Cinema Conca Verde, ore 20.45, proiezione e incontro con uno dei due registi: Emad Burnat. Un contadino palestinese, un’attivista israeliano. Per un documentario capace di arrivare, senza retorica, fino alla nomination per l’Oscar

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di Monica Macchi, tratto da FormaCinema

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“Se sei ferito ricorderai per sempre la tua ferita, anche dopo che è guarita. Ma cosa succede se continui ad essere ferito ancora e ancora … ? Ti dimentichi tutte le tue cicatrici. Ma la telecamera ricorda e così io filmo per guarire”.
Emad Burnat, contadino palestinese, co-regista 

“Non partecipo al film per mostrare il volto buono degli israeliani, Quindi non è giusto usare me e la mia identità per dire; “Guarda! Un israeliano che lavora con un palestinese!” Non è questo il punto. Il problema è che l’occupazione è un male per gli israeliani stessi”.
Davidi Guy, co-regista israeliano

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1 aprile 2014 – 5 broken cameras, che ha vinto il premio World Cinema Documentary al Sundance Film Festival 2012 e il premio per il miglior documentario al Festival del Cinema di Gerusalemme del 2012, è il primo film palestinese ad essere stato nominato all’Oscar (nella categoria Miglior Documentario) e nasce dalla collaborazione tra Emad Burnat, un contadino palestinese di Bil’in e Davidi Guy, un attivista di Indymedia.

Dopo aver girato alcuni cortometraggi, il regista israeliano Davidi Guy, è andato nel 2005 a Bil’in per girare Interrupted Streams, un documentario sulla politica dell’acqua nei Territori Occupati (che è stato poi presentato al Festival del Cinema di Gerusalemme nel 2010) e qui ha incontrato Emad, un contadino palestinese che voleva filmare la nascita di Gibreel il suo quarto figlio; ma che ben presto inizia a filmare anche molto altro…

La particolarità di questo documentario risiede nell’equilibrio tra i momenti familiari e intimi (come quando il vecchio padre di Emad tenta di arrampicarsi e bloccare la jeep israeliana che stava portando il figlio in prigione o quando il piccolo Gibreel bacia i manifesti funebri chiedendo al padre il significato della morte), tra gli abitanti del villaggio ognuno con le proprie speranze e convinzioni (su tutti Phil e Ameed) e la cronistoria dei cambiamenti nel villaggio (dalla costruzione del muro di separazione e di nuovi insediamenti illegali, alla raccolta delle olive a cui spesso partecipano anche gli internazionali per proteggere i contadini palestinesi, alla politica internazionale) e fare un film intimo ed personale è stato il modo per farlo sentire nuovo ed autentico.

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Per il resto la trama è semplice e lineare e ad ogni telecamera rotta corrisponde un momento della vita sia di Emad che del villaggio di Bil’in: la prima telecamera riprende l’inizio della resistenza pacifica e creativa contro la costruzione del muro di separazione e la dura reazione dell’esercito israeliano con gas lacrimogeni, proiettili di gomma (e non solo…), arresti indiscriminati, tra cui Riyad, un fratello di Emad: ed è proprio in questa occasione che viene rotta la prima telecamera. Dopo qualche tempo Yisrael, un cameraman israeliano regala ad Emad la seconda telecamera: con questa si documenta la costruzione del muro e la raccolta delle olive: in questa fase la lotta di Bil’in diventa un simbolo in tutto il mondo come resistenza popolare non violenta e mentre Emad filma la costruzione di nuovi insediamenti illegali un colono gli rompe la seconda telecamera. Quando Gibreel ha tre anni, Emad ottiene la terza telecamera: la situazione in Cisgiordania se possibile peggiora: le incursioni dei soldati israeliani e gli arresti si fanno sempre più frequenti ed indiscriminati e addirittura vi è una marcia di protesta di bambini che gridano: “Lasciateci dormire di notte !”.

Durante le riprese un soldato spara addosso ad Emad ad altezza d’uomo colpendo la telecamera che conserva al suo interno una pallottola testimonianza della fragilità effimera della vita, e così viene rotta anche la terza telecamera di Emad.

La quarta telecamera filma gli avvenimenti del 2008: la reazione dell’esercito israeliano si inasprisce ed è sempre più difficile per i palestinesi mantenere i loro ideali di non violenza. Ma proprio mentre la situazione sembra disperata, gli abitanti del villaggio di Bil’in scoprono di aver ottenuto una vittoria legale contro il tracciato del muro (“quasi un elettrocardiogramma”, secondo la definizione dell’architetto israeliano Eyal Weizman) ma il tempo passa, e la sentenza dell’Alta Corte non viene eseguita.

Emad per poter lavorare è costretto ad andare in Israele e al ritorno ha uno spaventoso incidente che rompe la quarta telecamera e gli costa quasi la vita: rimane in coma per 20 giorni e si risveglia durante Piombo Fuso mentre Israele bombarda Gaza e continua la colonizzazione in Cisgiordania in maniera sempre più violenta; durante una manifestazione Phil viene colpito e muore all’istante; toccanti le immagini del piccolo Gibreel che bacia i manifesti funebri e poi quando si rende conto del significato della morte chiede al padre: “Perché hanno ucciso Phil? Cosa ha fatto ai soldati?” dopo il funerale c’è una manifestazione molto tesa in cui viene rotta la quinta telecamera di Emad

E come ha spiegato il co-regista Guy l’obiettivo è quello di “non ridurre l’esperienza del film ad un’esperienza binaria: giusto/sbagliato, buono/cattivo, palestinesi/israeliani, abbracciando invece pienamente la complessità, la bellezza, e le emozioni”. In tutto questo un ruolo fondamentale lo gioca la colonna sonora del trio Jourban che hanno scelto di suonare la stessa melodia per tutto il film, una melodia che non si ripete uguale a se stessa ma piuttosto si sviluppa: ed è stata scelta proprio per rimarcare la situazione della Palestina in un film che “è sulla resistenza e la ripetizione degli eventi”.

Un plauso poi alla casa statunitense di distribuzione, la Kino Lorber, fondata nel 2009 da Donald Krim e Richard Lorber, specializzata in film d’essai e in film a basso budget, che si dedica tra l’altro alla distribuzione di film muti (tra cui i primissimi di Georges Méliès, i fratelli Lumière e DW Griffith), e al recupero e alla diffusione del cinema classico (ad esempio hanno appena editato in blu ray la copia inedita di “Metropolis” di Fritz Lang, “La corazzata Potemkin” di Sergei Eisenstein e il primo lungometraggio di Stanley Kubrick Fear and Desire, utilizzando una copia della Biblioteca del congresso di Washington).

P.S. Al suo arrivo negli Stati Uniti Burnat è stato arrestato dai funzionari dell’Ufficio immigrazione non convinti della veridicità dell’invito…si è dovuto mobilitare il regista Michael Moore che ha subito twittato “Benvenuti in America”; Emad invece non si è scomposto più di tanto ricordando che “questo è all’ordine del giorno per i palestinesi, ogni singolo giorno, in tutta la Cisgiordania, a nessuno di noi è stata risparmiata l’esperienza che io e la mia famiglia abbiamo vissuto a Los Angeles”. 

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