Parla il regista della docu-fiction “The special need”, che racconta il viaggio di Enea, giovane autistico alla scoperta del sesso: “Ci sono delle caratteristiche legislative che rendono molto difficile quello che in altri Paesi è già una realtà di fatto”
di Giuseppe Manfrè
2 aprile 2014 – In occasione della giornata mondiale dell’autismo (2 aprile) esce in tutte le sale italiane il coraggioso film “The special need”, docu-fiction on the road che ha per protagonista Enea, un giovane autistico che ha un desiderio molto speciale: fare l’amore. Il film, opera prima di Carlo Zoratti, racconta un argomento tabù ed è stato accolto da una vera ovazione all’ultimo festival di Locarno. Il 2 aprile il film sarà in tutte le sale italiane. In programma vari eventi speciali. Stasera (ndr. ieri) l’anteprima al Visionario di Udine. All’Auditorium Stensen di Firenze, dopo la proiezione del film si terrà l’incontro con i ragazzi down di Trisomia 21, che racconteranno al pubblico le loro esperienze con la sessualità e le lezioni che hanno tenuto su tale argomento. Il regista, classe 1982, racconta il suo lavoro in questa intervista.
Prima di iniziare il film cosa sapeva sul tema che avreste affrontato?
Zero! Prima di decidere di affrontare questa storia non ne sapevamo niente. Poi il processo produttivo del film è stato molto lungo, quindi durante questo percorso abbiamo letto, parlato e incontrato così tante persone che siamo diventati via via più consapevoli di quello che stavamo facendo; ma ripeto, è stato un po’ come imparare a costruire un aereo mentre sta già volando. Alla fine penso di essere oggi molto consapevole avendo anche fatto dagli errori che poi sono diventati parte integrante della storia.
Avete mai avuto paura che avventurarvi in un territorio così intimo avrebbe potuto modificare il vostro rapporto con Enea?
Durante il periodo di riprese la sensazione più forte che mi ha accompagnato era sentirmi diviso fra due ruoli completamente diversi. Da una parte spinto dall’amicizia che ho con Enea volevo proteggerlo da eventuali situazioni traumatiche. Dall’altra come regista avevo il compito di documentare, quindi il legame etico che mi legava in quel momento ad Enea si modificava di volta in volta subendo forti pressioni. Per esempio quando Enea rincorre ossessivamente le ragazze in strada noi riprendevamo, ma dentro qualcosa si spezzava. Questo ha messo a dura prova il nostro rapporto con Enea, ma è anche riuscito a renderlo più forte.
Come possono il cinema e l’arte contribuire a superare la barriera di una tematica considerata largamente come un tabù?
Lo scopo dell’arte per me è quello di mettere in discussione la moralità. La cosa che mi affascina di più è quando una storia che affronta un tema moralmente discutibile riesce a ribaltare le prospettive precostituite. In “Cuore di tenebra” l’obiettivo del protagonista è uccidere il traditore Kurt e in qualche modo tu desideri questo omicidio, desideri anche che sia feroce, perché si tratta dell’aberrazione della natura umana; ma l’autore riesce a ribaltare profondamente tutte le prospettive e allora una storia supera la dimensione del semplice intrattenimento per assumere una funzione sociale.
ll film è stato presentato a Locarno. Qual è stata la reazione del pubblico?
Potentissima. Eravamo in una sala molto grande da circa 2 mila persone ed era piena. Siamo stati presentati alla fine del festival in una sezione, Cineasti del presente, che è anche una sezione in cui si esplora il cinema più audace, che richiede una grande soglia d’attenzione. In un certo senso il nostro film rispetto agli altri sembrava quasi come “Tutti pazzi per Mary”; forse anche per questo il pubblico ha reagito con una standing ovation piena di applausi e abbracci per Enea.
A chi si rivolge il film?
A chi non gliene frega niente di disabilità. Alle persone comuni. Ho avuto due target di riferimento: i compagni di bevute di mio zio e mia mamma. Volevo raccontare una storia in cui ci fosse tutta la poesia e l’emotività che ogni mamma ricerca, e insieme volevo indirizzarla a tutte quelle persone che troverebbero una soluzione, alla sessualità e alla disabilità, nel modo più becero e pratico possibile, per potergli far vedere come ci si può relazionare ad una persona disabile e sentirsi alla pari.
Infatti questo aspetto è una delle cose più preziose del tuo film. Al termine del viaggio si capisce che Enea e i suoi compagni in fondo non sono poi così diversi: ricercano tutti l’amore.
Sì, essere riuscito a trasmettere questa sensazione è una cosa del film che mi rende molto orgoglioso.
In Italia, sulla traccia delle associazioni costituite in Germania, stanno nascendo progetti di assistenza sessuale per i disabili. Penso agli sforzi del blogger Max Ulivieri, egli stesso disabile. A che punto siamo nel nostro Paese?
So di un progetto a Bologna che sta cercando di sviluppare un percorso formativo per coloro che vogliono diventare assistenti sessuali. In Italia però ci sono dei grossi limiti soprattutto in termini legislativi; basti pensare che chiunque abbia dei rapporti sessuali con chi ha una disabilità intellettiva, come Enea, commette un reato molto simile a chi ha rapporti con minori. Quindi allo stato attuale la legge non permette di offrire un servizio del genere. Lasciando da parte poi il discorso sul favoreggiamento della prostituzione; infatti se un ragazzo con una disabilità intellettiva non riesce da solo ad organizzare un incontro, chiunque lo aiuti, o faccia da semplice intermediario, è imputabile di favoreggiamento. Per cui ci sono delle caratteristiche legislative in Italia che rendono molto difficile quello che in altri Paesi è già una realtà di fatto.
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