Una ricerca mostra quanto il nesso lavoro-democrazia sia importante oggi, nell’Europa di una crisi che non è solo economica ma anche politica
di Cora Ranci
11 aprile 2014 – Articolo 1. “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Questa è la formula che i padri costituenti hanno deciso di apporre all’inizio della Costituzione italiana – e l’inizio, si sa, è sempre la parte più importante. Il significato non è di immediata comprensione. Come tutt’altro che immediata è stata la genesi di questo controverso articolo, che Togliatti avrebbe voluto di maggiore connotazione politica (“Lo Stato italiano è una Repubblica di lavoratori”). Ma l’Italia uscita dalla guerra ha dovuto cercare compromessi su molte cose.
E nel 1947 fu Aldo Moro, mostrandosi già abile nella pratica del compromesso, a proporre l’espressione attuale. Per quanto vaga, più descrittiva che programmatica, essa indica che il lavoro è alla base della democrazia. È cioè il lavoro, inteso come partecipazione alla vita economica, sociale e politica dell’ordinamento, a costituire la condizione del carattere democratico dello Stato.
Ma cosa succede quando il lavoro si trasforma? Quando semplicemente non c’è, o va e viene, assumendo le forme precarie che lo caratterizzano oggi? Cosa succede alla democrazia, che sul lavoro si fonda? Diego Muro e Guillem Vidal, due politologi dell’Institut Barcelona d’Estudis Internacionals (IBEI), hanno dimostrato che gli alti tassi di disoccupazione dei Paesi dell’Europa meridionale sono strettamente legati alla crescente sfiducia nelle istituzioni politiche, al punto da costituire, a loro avviso, una minaccia sostanziale alla democrazia in questi Paesi.
I dati di Eurobarometro mostrano come la grande recessione cominciata nel 2008 abbia causato un aumento esponenziale dei livelli di sfiducia verso i governi, i Parlamenti e i partiti politici in Grecia, Spagna e Portogallo. Nel grafico soprastante, la linea rossa verticale segna il collasso della americana Lehman Brothers, cui segue un’impennata del livello che Muro e Vidal chiamano di “disaffezione politica”, e che in Italia viene comunemente bollato come “antipolitica”.
I due studiosi spagnoli lo definiscono come un sentimento misto di impotenza, cinismo e mancanza di fiducia nel processo politico. Manca il dato italiano, inserito nella linea nera che si riferisce all’Europa a 12, ma sappiamo bene come anche da noi quel sentimento sia ampiamente diffuso. Lo studio di Muro e Vidal, presentato anche su EUROPP, il blog della London School of Economics and Political Science, sostiene che gli alti tassi di disoccupazione sono l’indicatore che meglio spiega l’impennata mostrata dal grafico.
Mancanza di lavoro e sentimento antipolitico crescono insieme, insomma. E le elezioni, il momento in cui i cittadini hanno l’occasione di “punire” il governo in carica per non aver saputo gestire la crisi economica, non segnano alcuna discontinuità. Lo si vede nei grafici dei singoli Paesi, dove la linee verticali tratteggiate indicano le tornate elettorali e i riquadri colorati il colore del governo eletto (il colore rosso indica i governi di sinistra, il blu quelli di destra).
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Andare alle urne o cambiare governo, cioè, non ha avuto alcun impatto sul sentimento antipolitico, che si abbatte in modo indiscriminato su qualsivoglia governo, partito politico e composizione parlamentare. “La sanzione elettorale non ha aiutato i cittadini a rinnovare la loro fiducia nelle istituzioni democratiche”, argomentano Muro e Vidal. Forse è perché i cittadini pensano di non avere la possibilità di “punire” elettoralmente i responsabili della crisi a livello internazionale e nazionale.
Sta di fatto che le elezioni, uno dei pilastri del sistema democratico, sembrano diventate un momento irrilevante. Diversi potrebbero essere i motivi, l’inadeguatezza delle classi politiche, ad esempio. Ma il persistere di tassi di disoccupazione così elevati è certamente alla base di tanto malcontento anti-politico.
Possiamo realmente dare per scontato, si chiedono i due studiosi spagnoli, che tanta disaffezione politica, a lungo andare, non finisca per intaccare la legittimità democratica delle istituzioni politiche?
Solo l’Italia sancisce costituzionalmente in maniera così importante il nesso lavoro-democrazia. Ma i dati mostrano che quel nesso, che i comunisti e liberali italiani vollero addirittura scrivere all’incipit della nuova Costituzione, è più attuale che mai. .
La prima pagina del Corriere della Sera del 2 aprile 2014
Post scriptum: Su Q Code Magazine abbiamo già avuto modo di riprendere l’incipit della nostra Costituzione, mettendo in evidenza quanto la realtà dei fatti sia lontana dagli ideali cui dovremmo aspirare. (Af)fondata sul lavoro è una rubrica che raccoglie le storie di chi vive sulla propria pelle l’esperienza della precarietà o della mancanza di lavoro. Abbiamo voluto dare un taglio personale a una galassia troppo spesso raccontata con numeri, o gridata da squillanti titoli di giornale. Inviate le vostre storie a: affondatasullavoro@qcodemag.it .
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