Nel centenario della nascita, lo spazio bolognese Dom la cupola del Pilastro ricorda Etty Hillesum, scrittrice olandese vittima della Shoah
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di Giulia Bondi
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16 aprile 2014 – “Bene, accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so. Non darò fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se gli altri non capiranno cos’è in gioco per noi ebrei. […] Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato.” A scrivere queste parole, il 3 luglio 1942, è una giovane ebrea olandese, Etty Hillesum, che lavora come dattilografa per il Consiglio Ebraico, all’interno del campo di Westerbork.
Alla scrittrice, nel centenario della nascita, è dedicata la serata di mercoledì 16 aprile a Dom la cupola del Pilastro, spazio teatrale che da cinque anni la compagnia Laminarie gestisce a Bologna, tra i palazzoni e il verde del quartiere Pilastro. Dom è un disco volante posato sul prato accanto alle scuole medie. Nata negli anni Settanta come sala di quartiere, chiusa per trent’anni a causa dell’amianto, “la cupola” ha riaperto a fine 2009.
La serata a ingresso gratuito, intitolata “Cento di questi giorni: Etty Hillesum”, inizia alle 18.30 con l’incontro con l’editore Gerrit Van Oord e la lettura di brani dei diari e delle lettere della scrittrice. Alle 20.30, dopo un aperitivo, si proietta il film “Etty Hillesum una vita spezzata” di Jaop Walvis e Almart Tjepkema, realizzato dalla televisione olandese nel 1984.
La storia di Etty Hillesum colpisce per la lucidità con la quale la giovane donna olandese affronta le vicende tragiche del suo tempo, opponendo una resistenza interiore al male e ricercando con tenacia e fede in Dio tracce di bene anche là dove sembra assente. Insegna che l’unica strada per contrastare l’odio è un atteggiamento d’amore con cui guardare, nonostante tutto, anche a chi ci sta facendo del male. È quello che il curatore del suo diario, pubblicato nel 1981, definisce “altruismo radicale”.
Nata nei Paesi Bassi il 15 gennaio 1914, figlia di un professore di lingue classiche, Etty Hillesum si iscrive al liceo classico di Deventer nel 1926. Sei anni dopo si trasferisce ad Amsterdam, dove studia legge. Nel marzo 1937 va ad abitare nella casa di Hendrik Wegerif, dove inizierà a scrivere quel diario in cui annoterà, con precisione e passione, la sua trasformazione spirituale e le sue vicende umane prima del trasferimento a Westerbork. Creato nel 1939, Westerbork è un campo dove il governo olandese, in accordo con la principale organizzazione ebraica presente in Olanda, decide di riunire i rifugiati ebrei, tedeschi o apolidi, che vivono nei Paesi Bassi, pensando a una loro futura riemigrazione.
Etty Hillesum si laurea in legge nel 1939, comincia a studiare le lingue slave, e impartisce lezioni di russo. Nel 1942 il campo di Westerbork passa sotto il comando tedesco e diventa “Campo di transito di pubblica sicurezza”, ossia luogo di raccolta e smistamento per gli ebrei prigionieri diretti ad Auschwitz.
Il 16 luglio Etty, assunta come dattilografa al Consiglio Ebraico di Amsterdam, sezione assistenza alle partenze, richiede di essere trasferita al dipartimento di aiuto sociale alla persone in transito nel campo di Westerbork, dove gode di una certa libertà, che le consente di mantenere contatti con l’esterno e quindi scrivere le lettere che sono giunte a fino a noi.
Nel mese di luglio 1943 le autorità tedesche pongono fine allo statuto speciale dei membri del Consiglio Ebraico presenti nel campo di Westerbork. Decidono che metà di loro deve tornare ad Amsterdam, e gli altri rimanere nel campo, perdendo però ogni libertà di circolazione e comunicazione con l’esterno. Etty decide di rimanere a Westerbork.
Il 7 settembre 1943 la famiglia Hillesum sale su un convoglio diretto in Polonia. Dal treno, Etty riesce a gettare un biglietto che verrà ritrovato lungo la linea ferroviaria e spedito: è indirizzato ad un’amica ed è l’ultimo scritto di Esther. Il “Diario” di Etty viene pubblicato per la prima volta in Olanda nel 1981 dall’editore Gaarlandt ed è subito un grande successo. Nel 1982, col titolo “Il cuore pensante della baracca”, sono pubblicate le lettere che Esther aveva scritto a Westerbork.
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Dom la cupola del Pilastro è a Bologna in via Panzini, 1. “Il teatro valorizza gli imprevisti”, dice la scritta all’ingresso dello spazio. Periferia sorta negli anni Sessanta e nota alle cronache per fatti drammatici come il massacro della Uno bianca (1991), anche oggi il Pilastro è un quartiere d’accoglienza, dove la scuola media ha più della metà di alunni di origine straniera.
Quando nacquero le prime case popolari, gli autobus diretti in centro si fermavano alle soglie del quartiere. Riuniti in comitato, gli inquilini rivendicarono servizi, trasporti, spazi per lo svago, e tra le torri e il “virgolone” (una muraglia curvilinea di 700 metri con più di 500 appartamenti) aprirono la biblioteca, il parco Pasolini, e anche il Dom, che significa “cupola” in romeno. Oggi Dom ospita spettacoli, rassegne per bambini, proiezioni, conferenze e laboratori. E al Pilastro ci si può andare dal centro di Bologna con l’autobus 20, che fa corse anche notturne.
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