Palestina: annunciata la creazione di un governo di unità nazionale entro 5 settimane. Il dialogo prosegue nella speranza che non sia l’ennesimo buco nell’acqua
tratto da NenaNews
23 aprile 2014 – Se il negoziato con Israele resta bloccato nello stallo dell’avanzata coloniale e l’ostacolo dell’estensione dei tempi del dialogo, l’ANP ne approfitta per guardare nel cortile di casa e riaprire la porta all’avversario politico per eccellenza, Hamas.
Questa mattina membri del movimento islamista e governo de facto della Striscia di Gaza e membri di Fatah hanno annunciato l’intenzione di formare un governo di unità nazionale “entro cinque settimane”. L’accordo sarebbe giunto dopo lunghi colloqui a Gaza City tra Hamas e l’OLP: “Ci sono stati anche progressi sull’organizzazione delle future elezioni e sulla composizione dell’OLP”, ha detto un funzionario palestinese, rimasto anonimo.
Ieri lo stesso premier di Gaza Haniyeh aveva fatto pressioni per giungere in fretta ad un accordo di riconciliazione, “così da formare un solo governo, un solo sistema politico e un solo programma nazionale”. Come gesto di buona volontà, Hamas ha liberato dieci prigionieri membri di Fatah.
Il negoziato proseguirà oggi, a porte chiuse, ma il clima – dicono dai ranghi di Hamas – “è più che positivo”. Resta da vedere se davvero questa volta alle parole seguiranno i fatti: non è certo la prima volta che le due fazioni politiche annunciano di aver trovato un accordo per la creazione di un governo ad interim, di unità nazionale, che conduca i Territori Palestinese alle tanto attese – e rimandate – elezioni presidenziali e parlamentari.
Ma di tutti gli accordi firmati, al Cairo, a Riyadh e a Doha, niente è stato implementato, indebolendo ulteriormente la già fragile posizione negoziatrice palestinese. Hamas non ha mai nascosto la sua opposizione al dialogo in corso tra Autorità Palestinese e Israele e l’annuncio di oggi giunge al momento “giusto”: una settimana prima della scadenza fissata a luglio dal segretario di Stato USA Kerry per concludere un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. Accordo che in questi nove mesi non è mai parso tanto lontano, con azioni unilaterali da entrambe le parti e il rifiuto di rispettare le precondizioni di luglio da parte israeliana.
L’attuale stallo ha spinto ieri lo stesso capo negoziatore palestinese Erekat a ventilare una sottile minaccia: smantellare l’Autorità Palestinese perché priva nella realtà dei fatti di ogni tipo di potere politico, economico e sociale sui Territori.
Una minaccia che se messa in pratica stravolgerebbe le carte in tavola, obbligando Israele a riprendere in mano la responsabilità dell’occupazione militare e la comunità internazionale a comprendere la pericolosità di uno status quo fragile e senza giustizia all’orizzonte.
Alla minaccia di Erekat sono seguiti i rimproveri statunitensi e le accuse israeliane, con il premier Netanyahu che puntava il dito contro l’ANP, definendola responsabile del fallimento del negoziato. Dimenticando forse il rifiuto di liberare l’ultimo gruppo di prigionieri politici palestinese e i settimanali annunci di espansione coloniale in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.