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Il passato stragista è una cosa seria e non c’è spazio per la confusione e la disinformazione. Cominciamo quindi a mettere in chiaro una cosa: Renzi non ha tolto il segreto di Stato sulle stragi semplicemente perché il segreto di Stato, sulle stragi, non è mai stato posto. Il segreto di Stato è uno strumento previsto dalla legge italiana secondo il quale il presidente del Consiglio dei Ministri – e lui soltanto – può assumersi la responsabilità politica di impedire alla magistratura di accedere a determinata documentazione, per tutelare l’interesse dello Stato. È uno strumento delicato, perché tale potere del capo del governo è insindacabile. Lo abbiamo visto chiaramente nel caso del sequestro di Abu Omar, dove il segreto di Stato è stato posto prima dal governo Berlusconi e in seguito confermato dal governo Prodi, impedendo così alla Procura di Milano di mettere il naso in quell’affare. In quel caso il ricorso al segreto di Stato, se pur discutibile, è stato legittimo.
Nei casi di strage, terrorismo e mafia, invece, la legge impedisce il ricorso al segreto di Stato. Quando parliamo di stragi e di segreto, quindi, dobbiamo tenere a mente che stiamo parlando di un segreto de facto, di un segreto, quindi, di ancor più difficile individuazione, e, di conseguenza, di ben difficile svelamento.
Il segreto di Stato ha per legge una durata limitata nel tempo: 15 anni estendibili fino a un massimo di 30, e la proroga viene sempre e solo decisa dal presidente del Consiglio dei Ministri, che se ne assume la responsabilità, tutta politica, dinnanzi al Parlamento e al Paese.
Nel caso delle stragi impunite susseguitesi in Italia dal 1969 fino agli anni Ottanta non vi è mai stata alcuna assunzione di responsabilità da parte degli innumerevoli governi succedutisi in quel tremendo decennio che con una formula semplicistica chiamiamo “anni di piombo”.
La storia delle stragi è una storia triste fatta di depistaggi, infinite e complesse istruttorie giudiziarie, sentenze ridicole, strumentalizzazioni politiche, parenti delle vittime organizzati in associazioni per rincorrere una verità e una giustizia inafferrabili. Ma soprattutto è una storia di impunità.
Di fronte alle stragi, ovvero all’evidenza che vi sono stati apparati statali che si sono adoperati per impedire l’accertamento delle responsabilità, per deviare e condizionare le indagini della magistratura, di fronte a tutto ciò, lo Stato italiano ha rinunciato a fare giustizia. La storia del caso Ustica è emblematica a questo proposito: chiamiamo “strage” quella che in realtà sarebbe stata una “tragedia”, l’incidentale abbattimento di un aereo civile. Tragedia che si è fatta “strage” nel momento in cui è emerso con indubitabile evidenza (si veda la sentenza della Cassazione del 22 ottobre 2013) che all’interno dell’Aeronautica militare vi fu chi distrusse prove, testimoniò il falso, perché la verità non emergesse. Ecco dov’è la strage: in quel “accodarsi” dello Stato italiano di fronte a queste operazione devianti, illegali.
Ma torniamo al provvedimento del presidente del Consiglio per capire meglio in cosa consiste. Renzi – si legge nel comunicato ufficiale del governo – ha firmato la direttiva che dispone la declassificazione degli atti relativi ai fatti di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna, rapido 904. Ciò significa che tutti i documenti attenenti a quei fatti e al momento in possesso delle amministrazioni che li hanno prodotti e che li custodiscono dovranno essere “versati”, come si dice in termine tecnico, all’Archivio Centrale dello Stato di Roma.
La declassificazione implica che quei documenti – e sono davvero tanti – che portano la dicitura segreto – segretissimo – riservato – riservatissimo, e che fino ad oggi potevano essere esaminati solo dal potere giudiziario, se ne faceva domanda, potranno essere accessibili a tutti. Sul piano pratico, si tratta, come è facile intuire, di un’operazione che avrà dei tempi molto lunghi, già si parla di alcuni mesi solo per le prime carte, e pare anche una previsione ottimistica.
Il problema dell’accessibilità di questa documentazione è vecchio: da anni storici e archivisti lamentano gli enormi problemi di accesso alle fonti archivistiche, specialmente per quanto riguarda la documentazione dei servizi segreti. Un significativo passo in avanti sul piano normativo era già stato compiuto dal governo Prodi nel 2007 con la legge n. 124, che già predisponeva norme in merito alla declassificazione dei documenti. Quella legge, però, era rimasta lettera morta, perché la sua attuazione dipendeva da regolamenti che spettavano alla presidenza del Consiglio e che fino a due giorni fa non erano mai arrivati. Per questo si dice che con il provvedimento di Renzi quella legge trova concreta applicazione nell’aspetto che riguarda l’accesso agli archivi dei servizi.
Speriamo che sia davvero così. Perché chi si interessa dei problemi di accesso alle fonti archivistiche in Italia sa bene quanto il percorso della trasparenza e dell’apertura sia irto di ostacoli. Di buone intenzioni, si dice, è lastricata la via dell’inferno. Passare dalle parole ai fatti è ben altra cosa: la volontà politica, in un ambito così delicato, dovrà essere davvero forte. La ferita delle stragi non può essere rievocata a suon di slogan, se poi alle parole altisonanti non corrisponderanno atti concreti. Le parole di Renzi sono parse forse fin troppo spavalde a chi da anni si occupa di questi temi. Speriamo che gli scettici si debbano ricredere e stupire.
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“Appassionati di finali e non di trame”
È stato detto da autorevoli opinionisti che non dobbiamo illuderci: da quelle carte non uscirà la verità. Non ci sarà il documento in cui viene dato l’ordine di mettere la bomba, o la velina con le istruzioni su come depistare le indagini. Questa considerazione, condivisibile per non dire scontata, non deve però offuscare ai nostri occhi l’importanza che rivestirebbe un reale accesso a quella documentazione, una volta declassificata.
È vero che la magistratura poteva già accedere a quelle carte riservate, ma doveva farne richiesta esplicita: il magistrato inquirente, cioè, doveva richiedere un documento di cui già conosceva l’esistenza. Il documento veniva così acquisito agli atti giudiziari ma decontestualizzato dal suo archivio di provenienza.
Se realmente tutti questi documenti verranno versati in un unico archivio, immaginiamo quante carte interessanti dal punto di vista della ricostruzione storica avremo a disposizione. Carte che la magistratura non ha ancora visto, perché il compito del magistrato è diverso da quello dello storico. Il magistrato segue piste di indagine, il suo obiettivo è giungere all’incriminazione di qualcuno, nome e cognome: gli interessano i documenti utili al suo scopo. Lo storico invece ha una visione più ampia: ricostruisce contesti, collega fatti, non giudica, analizza, mette in relazione eventi. Tenta di comprenderli, fino in fondo.
Tentativi di scrivere la storia delle stragi sono già in atto, pur tra mille difficoltà. Per fortuna, si può contare su molti archivi cosiddetti “supplenti”, archivi messi a disposizione da soggetti privati, come le associazioni delle vittime delle stragi. La “Rete degli archivi per non dimenticare”, nata nel 2011, ha creato un portale online che valorizza e rende pubblico il patrimonio documentale esistente sui temi del terrorismo, della violenza politica e della criminalità organizzata. Nonostante questi tentativi lodevoli, gli storici si stanno purtroppo barcamenando in un panorama desolante per quanto riguarda il diritto alla conoscenza, cui in teoria corrisponde il dovere dello Stato di garantire l’accesso agli archivi. Il discorso sarebbe davvero lungo.
Ciò di cui c’è realmente bisogno in Italia è una legge che regolamenti il versamento obbligatorio degli atti della pubblica amministrazione all’Archivio Centrale dello Stato entro un certo numero di anni, sulla falsariga del Freedom of Information Act americano. Nel Paese delle emergenze e dei provvedimenti ad hoc, quello sì che sarebbe un vero elemento di novità.
Chiudiamo con una riflessione di Marco Paolini in merito alla strage di Ustica, ma allargabile a tutte le storie di stragi. “E’ ora che pretendiamo non solo i perché, ma anche i come”.
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