Nel borgo di Nocera Terinese, Catanzaro, un’antica manifestazione popolare del periodo pasquale, porta sessanta persone all’autoflagellazione. Sono i vattienti: per i fedeli ricordano il martirio di Cristo, per altri è un’inutile tortura
di Marco Todarello
foto di Salvatore Colloridi
L’odore del sangue riempie le piazze e i vicoli mentre uomini devoti vestiti come Cristo si percuotono le gambe con vetro e chiodi, rievocando quella Passione che portò il padre del Cristianesimo alla morte sulla croce. È il rito dei vattienti che dal 1618, nella sera del venerdì e del sabato santo, si ripete a Nocera Terinese, antico borgo calabrese affacciato sul mar Tirreno. Durante la processione pasquale dedicata alla “Madonna addolorata”, ai fedeli si mescolano una trentina di coppie di uomini, figure speculari che rappresentano i due momenti del calvario di Gesù: il vattiente, che rappresenta il momento della flagellazione, e l’Ecce homo, ovvero il Cristo che, dopo la flagellazione, viene portato davanti a Ponzio Pilato per il giudizio. Entrambi sono legati da una cordicella rossa, che indica l’unicità della figura di Gesù, e portano sul capo la corona di spine.
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Il vattiente è vestito di nero, l’ecce homo di rosso. Nero come la sofferenza e come la morte, il vattiente è il vero protagonista del rito: si percuote le cosce e i polpacci con il “cardo”, un disco di sughero con tredici schegge di vetro infilzate su uno dei lati, bloccate da una base di cera che ne lascia scoperte le punte. Le tredici schegge simboleggiano Cristo e i dodici apostoli, e ce n’è una più sporgente delle altre che rappresenta Giuda e il suo tradimento.
L’altro strumento è la “rosa”, uguale al “cardo”, ma liscio su entrambi i lati: serve a ripulire le gambe dal sangue che esce in continuazione, ma anche per marchiare i muri delle case di un amico o parente per il quale il vattiente ha fatto un “voto”, indicando alla Madonna una grazia chiesta o ricevuta, o l’adempimento di una promessa fatta. Per tutto il percorso della processione, l’ecce homo e il vattiente sono seguiti da un ragazzo che versa vino sulle ferite per disinfettarle. Il momento più emozionante della cerimonia è l’incontro dei devoti con la “Madonna Addolorata”, rappresentata da una scultura lignea risalente al 1300. Al suo cospetto i vattiente si inginocchiano, pregano, si autoflagellano e sciolgono o rinnovano il voto fatto.
Alla fine della processione, i vattienti si versano sulle gambe un’infusione di rosmarino bollito in acqua, che serve ad accelerare la coagulazione.
Sulle origini del rito gli antropologi sono divisi: la maggior parte crede che sia da ricercare nella pratica dell’autoflagellazione che si diffuse dall’Alto Medioevo, direttamente ispirata alla Passione di Cristo, e che ebbe una funzione di penitenza e di espiazione dei peccati. Una minoranza, tuttavia, ritiene che la tradizione risalga a un rito chi i Frigi dell’Asia Minore praticavano in onore del dio Attis, per propiziare la fecondità della terra.
È indubbio che il rito dei vattienti contenga anche degli elementi pagani, ma che non cessa di scatenare polemiche a quasi 400 anni esatti dalla sua prima esecuzione.
Per molti non credenti è una follia, una inutile tortura, un barbaro rituale da abolire, simile a quelli che si svolgono a Verbicaro, in provincia di Cosenza e a Guarda Sanframondi, in provincia di Benevento. Per i fedeli, ma in generale per i quattromila abitanti di Nocera Terinese, è una tradizione sentita, attesa e indiscutibile, tant’è che si sono opposti in massa quando la Chiesa ha chiesto di mettere fine al rito considerato troppo impressionante, anche nelle due occasioni in cui per fermare i vattienti sono state coinvolte le forze dell’ordine. Ogni anno centinaia di fedeli, curiosi e studiosi affollano i vicoli pendenti del borgo calabrese per assistere al rito, mentre gli abitanti sono sempre più infastiditi dalla diffusione di macchine fotografiche e telecamere che intaccano l’intimità di un antichissimo momento di raccolta della comunità locale. Un’altra Pasqua è passata, e il sangue dei vattienti è rimasto sui muri delle case, nelle piazze e sugli scalini delle chiese, fino a quando la prima pioggia lo cancellerà. In attesa di un’altra Passione.
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