Se son rose fioriranno

Autorganizzazione dei cittadini: social street e associazioni di strada a Bologna

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di Bruno Giorgini

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29 aprile 2014 – Bologna sembra presa da incantamento per le social street che crescono come funghi, non del tipo parassitario speriamo. Piuttosto se son rose fioriranno. D’altra parte fino all’altro ieri ancora esistevano attivamente le sezioni del PCI di strada, e non a caso da una di queste in Bolognina Occhetto lanciò la sua proposta di trasformare il PCI in PDS, col seguito che tutti conosciamo fino all’attuale PD renziano. Inoltre c’è una antica abitudine a costruire comitati di cittadini e luoghi di partecipazione dal basso spesso controllati dall’alto, all’ombra del Partito. Ma se un comitato nasceva contro il degrado in una piazza, un altro contro il rumore in una strada, un terzo contro il passaggio di autobus troppo inquinanti e tanto grossi da far tremare i muri nonché le due torri, oppure a favore della pedonalizzazione di una zona (anche contro, è ovvio), eccetera in una sequela di problemi specifici, le social street e le attuali associazioni di strada non si propongono come sindacati dei cittadini, cioè non hanno una natura essenzialmente rivendicativa e/o moralizzatrice – per dire, contro i ragazzi scostumati che bevono birra in pubblica piazza, oppure suonano il bongo fino a tarda notte di fronte alle sette chiese, per i foresti Piazza Santo Stefano di inaudita bellezza.

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Le social street e/o le associazioni di strada sono fondate sull’autorganizzazione dei cittadini residenti/domiciliati in una via, quindi sul vicinato, la prossimità dell’abitare, del camminare, del vivere. La social street e/o l’ associazione di strada – a questo punto il lettore si chiederà se e che differenza fa, e ne parleremo – socialmente si collocano all’esatto opposto dei treni freccia rossa.

Questi ultimi sono parcellizzati rispetto all’accoglienza in carrozze diverse: standard, premium, business salottino, business area silenzio, business, executive, economy, super economy, forse altre ancora. Così, a seconda del prezzo pagato, l’utente accede a uno degli spazi, una delle scatole, in cui Trenitalia divide la società dei viaggiatori, forse pensando che le partizioni sopradette rispecchino le divisioni sociali globali. Il principio è la separazione che si basa sulla diseguaglianza assunta a criterio cardine del funzionamento della vita associata. Le persone accomunate dal viaggio, vengono segmentate sulla base del censo da Trenitalia, per non dire della vera e propria frattura sociale, una voragine, tra chi viaggia comunque sul freccia rossa e chi invece nei treni locali, regionali, intercity, i paria, gli intoccabili sul modello dell’India, il capolavoro delle divisioni culminando nell’abisso tra Nord e Sud: le ferrovie che unificarono l’Italia oggi la spezzano socialmente e geograficamente in modo indegno per una azienda finanziata dal pubblico denaro.

Invece la social street è, almeno nelle intenzioni, una libera associazione tra eguali fondata sulla vicinanza. In linea di principio non è compartimentata sulla base del ruolo e collocazione sociale di ciascuno, Pierino figlio del dottore e dottore a sua volta, Maria elettricista, Fabio calzolaio, Farida commessa, Antenore disoccupato partecipano a eguale titolo, in quanto cittadini abitanti vicini, il nostro prossimo. L’aggregazione “social street”/ associazione di strada non attiene l’appartenenza di censo, classe, ceto, categoria, corporazione, non è professionale, e/o comunitaria (i cittadini di una comune religione e/o origine e/o etnia), costituendo rispetto alle tipiche formazioni sociali o corpi intermedi, una novità in radice.

A questo punto possiamo porci un paio di domande. La prima se le social street e/o associazioni di strada che assumiamo come le molecole, i componenti primigeni della società civile urbana, siano pure da ogni politica, oppure se la politica, la dimensione del potere e il formarsi di strutture formali e/o informali di potere, sia intrinseca anche al più elementare costituente sociale. La seconda interrogazione riguarda il rapporto tra queste forme di autorganizzazione e le istituzioni locali, in particolare il comune. Ancora una volta, è questione di potere, nonché di relazione tra questi nuovi costituenti elementari la cittadinanza – le social street/l’associazione – e la democrazia delegata rappresentativa – il consiglio comunale-, il potere esecutivo – il sindaco e la giunta – fino ai meccanismi eventuali di partecipazione diretta dei cittadini alla cosa pubblica. Non dimenticando le aziende pubbliche locali di gestione dei servizi, dai trasporti alla rete idrica.

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Senza la pretesa di rispondere, racconterò due esperienze, quella dell’associazione di strada Orfeonica che opera in via Broccaindosso e quella della social street di via Fondazza, due strade in centro storico, a pochi passi l’una dall’altra, quindi presumibilmente non troppo diverse quanto a composizione sociale. La scelta di via Broccaindosso e Fondazza deriva dal fatto casuale che abito in una, passo per l’altra quasi tutti i giorni, in entrambe ho molti/e amici/he impegnati/e nelle rispettive aggregazioni di strada, mentre io personalmente non ne faccio parte.

Cominciamo con l’associazione Orfeonica di via Broccaindosso, la più antica. Tutto iniziò con la prima festa di strada nel lontano 1987, idea che venne a un gruppo informale di abitanti, soprattutto donne. Da dire sembra facile ma da fare è tutt’altra cosa. Bisogna chiudere la strada al traffico e c’è un mucchio di gente, in specie ristoratori –in duecento metri si allocano ben cinque trattorie e una osteria – negozianti, gestori dei bar, professori e studenti di una scuola media superiore che lì alberga, per non dire degli abitanti, da mettere d’accordo sul giorno e sulla durata, quindi convincere il comune perchè la mobilità globale sarà comunque affetta. Anche la strada bisogna ripulire, prima e dopo, un po’ per uno che, come dice la saggezza popolare, non fa male a nessuno. Alla fine la festa riuscì alla grande e ciascuno collaborò in armonia, dando origine all’ “allegro comitato”.

L’esperienza della festa col porta a porta fatto per organizzarla segna l’intero ciclo fino a oggi: l’Orfeonica si fonda soprattutto sul contatto e sull’empatia de visu e ad personam, mentre la comunicazione attraverso la rete (htpp//orfeonicadibroccaindosso.blogspot.it) che data dal 2010, è a dir poco stringata se non trascurata. “Siamo pochi virtuali ma molto virtuose” dicono con allegro esprit de finesse e ironia verso i maschi nonchè orgoglio le mie amiche. Oppure: “La comunicazione virtuale ti fa sembrare lontano chi è vicino, il tuo prossimo della porta accanto”. Dopo quella prima, le feste prendono piede, mentre la pulizia dei pavimenti e dei muri sotto i portici da parte dei cittadini diventa normale, a cura di tutti perché “la strada è un bene comune”, come recita un cartello. Nè dimenticano l’illuminazione notturna avente a che fare con l’estetica e il piacere, ma anche con la sicurezza, e l’intero arredo urbano si trasforma diventando più amichevole.

Nella strada ci sono contenitori per i guanti di plastica da indossare per raccogliere la cacca dei cani, oppure un banchetto per lo scambio libero di libri, tu lasci il tuo e ne prendi un altro, e il bar in certe ore funziona come sede dell’associazione, specie in inverno.

Cibo sotto le stelle

Un salto avviene quando il gruppo prende in cura e gestione dal Comune quelli che erano gli spazi ortivi del dismesso convento S.Leonardo, un’ampia area abbandonata e degradata, che i/le cittadini/e compresi i giovani e le ragazze della scuola accanto ripuliscono, restaurano in senso proprio, c’è anche un affresco, rendono verde, dando così luogo all’Arena Orfeonica, (dal nome di una antica corale di fine 800), la quale diventa una vera e propria piazza della strada – loro dicono: una strada, un paese – una agorà luogo di incontro, dibattito, divertimento, spettacolo, convivialità aperto a tutti, giovani, vecchi, ricchi, poveri, maschi, femmine, e gay. Non per caso ”Inaugurazione dell’Arena Orfeonica aspettando il gay pride” recita una locandina. In rapido e incompleto elenco l’ Orfeonica ospita il cinema estivo, rinverdendo la tradizione delle arene all’aperto di una volta, il cibo sotto le stelle con i ristoratori della strada, il memorial Joe Louis con incontri di boxe tra dilettanti, il teatro – tra poco comincerà un ciclo di teatro comunitario sulla scorta in specie dell’esperienza argentina -, il tradizionale dibattito, uno per tutti: igiene urbana dall’indifferenza alla differenziata, le presentazioni di libri, il concerto.

Nella lista spicca un video documentario titolato “H2A AMIANTO A CHILOMETRO ZERO, L’Amianto nell’acquedotto di Bologna”, di Giuliano Bugani e Daniele Marzeddu (2011), e l’Orfeonica, ormai dal 2006 costituitasi in Associazione con personalità giuridica, partecipa alla produzione praticando il cosidetto crowdfunding. Il documentario, che investiga e denuncia la presenza di amianto nelle condutture dell’acqua urbana, ha una ampia diffusione, e non pare del tutto gradito (eufemismo) nè alla azienda di gestione della rete idrica bolognese nè al Comune.

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comunicato CSH2A copia

L’Associazione Orfeonica ha una Presidente, un consiglio direttivo, degli iscritti/e e tiene una dovuta assemblea annuale di bilancio, oltre a varie assemblee straordinarie aperte a tutti per definire progetti, programmi e iniziative. Di fatto l’attuale gruppo dirigente l’Associazione istituzionalizza la leadership che è venuta emergendo nell’attività pratica, epperò è importante che sia esplicita e contendibile, ovvero che funzioni un trasparente meccanismo di formazione del consenso e/o del dissenso.

In questo percorso punto centrale è che i/le cittadini/e di via Broccaindosso costituiscono, creano, attrezzano sia culturalmente che materialmente, un nuovo spazio pubblico, uno spazio pubblico che prima non esisteva, diventando così facitori di città. Infatti costruendo questa nuova agorà arricchiscono lo spaziotempo urbano aumentandone le dimensioni/occasioni di democrazia e partecipazione. Essi/e sono l’esempio di come si può costruire la città, la polis, dal basso, protagonisti/e e creatori di una citizens science, una scienza urbana della convivenza civile agita in prima persona, mentre per ora non appaiono fenomeni di burocratizzazione e incrostazioni di potere, perché “non c’è competitività”, “non abbiamo alcun messaggio da lanciare al mondo, alla società eccetere eccetera”, “non ci interessa apparire, non c’interessa la visibilità”.

Neppure sono in gioco soldi, salvo i pochissimi finanziamenti pubblici dell’ordine di tremila euro per la rassegna di cinema estivo, peraltro quest’anno indisponibili, difficile dire se per austerità obbligata o per un certo rifiuto politico ideologico e presa di distanza dell’ente locale. Quindi finora le nostre amiche e amici di via Broccaindosso paiono al riparo dalle tentazioni del potere come da quelle del soldo. Non credo per loro particolare dirittura morale ma perché esse/i hanno messo in campo una reale azione ethica – ethos in greco classico significa abitabile, rendere abitabile – che ha reso più bella e vivibile la loro strada, il loro naturale ambiente fisico e umano.

Strada che diventa occasione di empatia e conoscenza, senza essere obbligati a rimanere rinserrati nel chiuso delle case. Insomma luogo vivente di incontro comunicazione circolazione tra gli umani. E quando la differenza d’opinione si trasforma in conflitto interviene non la retorica e/o la reductio ad unum ma la persuasione e il lavoro comune, pulire un muro può mettere molto di più d’accordo che enunciare mille principi.Ora sarebbe il momento di scrivere sulla social street di via Fondazza, per certi aspetti assai diversa, per esempio nell’uso molto ampio della comunicazione virtuale, pagina facebook e via dicendo, e pure per altro. Ma già fui troppo lungo per cui sarà una prossima puntata.

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