Eterna amizade

La squadra del Benfica, in Italia per la semifinale di ritorno di Europa League contro a Juve, a Superga per omaggiare il Grande Torino

 

di Christian Elia

 

Questa puntata del blog è dedicata a Vujadin Boskov, grande jugoslavo,
molto più profondo delle banalità con le quali è stato ricordato il giorno della sua morte

 

30 aprile 2014 – Ci andranno tutti: tifosi, giocatori, tecnici e dirigenti. Il 1° maggio, dopo la rifinitura di preparazione per una partita che vale una stagione, il Benfica salirà sul colle di Superga a rendere omaggio al Grande Torino.

La squadra di Lisbona, tornata campione di Portogallo quest’anno dopo un digiuno lungo quattro anni, è in semifinale di Europa League. Avversario la Juventus, battuta a Lisbona per 2-1. La partita di ritorno si annuncia infuocata, con lo stadio bianconero pronto a essere decisivo.

Una partita importante, un trofeo europeo, una stagione lunga e difficile che terminerà con il campionato del mondo in Brasile. Ma per certi versi una stagione come mille altre. Solo che il destino ha messo sul cammino del Benfica la Juventus, riportando all’attenzione del pubblico di appassionati di calcio una grande storia.

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Quella del Grande Torino, appunto. Come recitava lo striscione che ha accolto la Juventus all’ingresso dello stadio di Lisbona, campeggiando in curva: “4 maggio 1949: Lisboa non dimentica – Onore al Grande Torino”, in un italiano da perfetti padroni di casa.

E’ la storia dell’eterna amizade, l’amicizia eterna, che unisce il Benfica e il Toro per sempre. Perché il giorno di maggio che segnò la fine tragica di una delle più grandi e simboliche squadre di tutti i tempi, l’aereo che si schiantò sulla collina di Superga, tornava proprio da Lisbona.

Il Grande Torino era l’ospite d’onore della festa che i lusitani tributavano a Francisco ‘Chico’ Ferreira, capitano del Benfica e della nazionale portoghese. Non per il suo ritiro, come erroneamente si è scritto per anni, ma solo per omaggiare un grande del calcio di Lisbona che, in un incontro con a nazionale italiana, aveva conosciuto il grande Mazzola, invitando lui e il Toro in Portogallo.

La Olivetti mette in palio un trofeo, avendo interessi commerciali in Portogallo, la partita è bella e divertente, sette reti segnate. I due grandi capitani si salutano, si abbracciano, il Torino deve tornare in Italia per l’ennesimo trionfo.

Sono campioni d’Italia, ininterrottamente, dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Più che una squadra, un meccanismo perfetto, agli ordini di mister Erbstein, ungherese giramondo, sopravvissuto ai campi di sterminio. In campo, il meglio.

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Bacigalupo in porta, e poi, come a sgranare un rosario: Ballarin, Maroso, Grezar (Martelli), Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Invincibili, semplicemente.

Si salvano solo il difensore Sauro Tomà, infortunato, e il secondo portiere Gandolfi, cui all’ultimo minuto era stato preferito il terzo Dino Ballarin, fratello di Aldo. Il presidente Novo, assieme al direttore tecnico Roberto Copernico, erano rimasti a Torino. Facevano parte della comitiva anche i giornalisti Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport), Renato Tosatti (della Gazzetta del Popolo, padre di Giorgio Tosatti) e Luigi Cavallero (La Stampa).

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Un estratto del documentario Soltanto il cielo li dominò, sulla storia del Grande Torino

Quest’ultimo prese il posto di Vittorio Pozzo. C.t dell’Italia che aveva vinto due Mondiali e un’Olimpiade. Pozzo era l’inviato sportivo de La Stampa di Torino ma, visto il recente avvicendamento sulla panchina della Nazionale e le incomprensioni che erano nate tra lui e Novo, il suo nome non era molto gradito in quel periodo dalla società del Torino.

Questo salverà la vita anche a Nicolò Carosio, la storica voce radiofonica delle imprese degli azzurri, a cui la società granata aveva garantito un posto sul trimotore in rotta per Lisbona, ma aveva dovuto rinunciare: impossibile far coincidere la trasferta con la cresima di suo figlio.

Il 4 maggio, per colpa della nebbia, il pilota sulla rotta di ritorno a Torino, perde la rotta. Naviga a vista, fino al drammatico schianto sulle pendici della collina che ospita la Basilica di Superga. Un minuto per morire e per entrare nel mito. Una generazione di fenomeni, sopravvissuti alla guerra, per morire su una collina. Un milione di persone partecipò ai funerali.
Il Benfica, per sempre, si sente legato a quella storia. La chiamano eterna amizade, eterna amicizia, omaggiandola oggi in una cerimonia che nel calcio moderno che dimentica tutto è dannatamente poetica.

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