Romania: il capitale sociale

I giovani romeni scendono in piazza a difesa dell’ambiente, contro le multinazionali e la classe politica locale. Una generazione nuova è protagonista del primo movimento sociale della Romania post comunista. Intervista alla ricercatrice Chiara Milan

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di Daniela Mogavero, tratto da Osservatorio Balcani Caucaso

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3 maggio 2014 – I giovani romeni sembrano aver scoperto la protesta di piazza. Coloro che, nel 1989, erano poco più che bambini, ora, con l’aiuto dei social network, lottano contro l’austerity o contro progetti di sfruttamento ambientale, quali quello dell’estrazione di oro a Roșia Montană. Chiara Milan, dottoranda presso il Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’European University Institute di Firenze, e redattrice di East Journal, ci aiuta a inquadrare questa nuova generazione.

Le recenti manifestazioni in Romania segnano l’ingresso nell’arena politica del paese di una nuova generazione, quella nata subito prima o subito dopo il 1989. E’ così?

Certamente stiamo assistendo alla nascita di una nuova coscienza politica tra le nuove generazioni. In generale, però, le proteste che si sono susseguite in Romania negli ultimi anni hanno catalizzato il malcontento dell’intera popolazione, che si è trovata a dover scegliere tra il diritto al lavoro e il diritto a condizioni di vita dignitose, a cominciare dagli abitanti di Roșia Montană, il cui progetto di riapertura della miniera ha comportato la vendita della maggior parte delle loro proprietà ad un prezzo irrisorio alla multinazionale Gabriel Resources, che detiene l’80% delle azioni della Roșia Montană Gold Corporation (RMGC).

Con loro ha solidarizzato quella fascia di popolazione contraria alla distruzione del territorio e all’uso del cianuro per l’estrazione di oro, nonché quei romeni che non ritengono giusto che i profitti derivanti dallo sfruttamento del territorio non beneficino i cittadini, ma finiscano nelle tasche della multinazionale canadese – non bisogna dimenticare infatti che lo stato romeno detiene solamente il 20% delle azioni della Rmgc.

Allo stesso modo, le proteste del 2012 innescate dal tentativo di privatizzare lo Smurd, il servizio di pronto soccorso romeno, sono poi sfociate in proteste di massa contro le misure di austerità promosse dal presidente Băsescu e dall’allora premier Boc, che, tra le altre cose, hanno comportato ingenti tagli agli stipendi dei lavoratori pubblici.

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La partecipazione delle nuove generazioni alle proteste è stata particolarmente visibile nel caso di Roșia Montană, data la relativa vicinanza del villaggio con la città di Cluj-Napoca, sede di una delle più prestigiose università romene. Nel corso degli anni gli studenti di Cluj e dintorni hanno contributo in termini di risorse umane, organizzando molte iniziative a sostegno della campagna “Salvati Roșia Montană”, con azioni, come quella del fotobombing, che hanno aumentato la visibilità del movimento. Inoltre le bandiere con il logo della campagna hanno sventolato in tutte le piazze romene durante le proteste dell’inverno 2012.

I manifestanti non si sono schierati con nessun tipo di partito. Eppure le proteste hanno avuto una forte impronta politica: i manifestanti si sono chiaramente schierati contro il presidente Traian Băsescu durante le proteste dell’inverno 2012 chiedendone le immediate dimissioni (Băsescu che, oltretutto, si è sempre dichiarato favorevole all’estrazione di oro dalle miniere di Roșia Montană per poter ripianare il debito che il paese ha contratto con il Fondo Monetario Internazionale); hanno apertamente condannato la presa di posizione del presidente Victor Ponta, che, inizialmente contrario alla riapertura della miniera di Roșia Montană, una volta eletto nel maggio 2012 si è dichiarato possibilista; sono scesi in piazza per protestare contro una classe politica corrotta che non li rappresenta.

Sullo spirito di “Occupy Wall Street” i movimenti che si sono riuniti in piazza hanno avuto sui social network un luogo di incontro privilegiato. Che importanza hanno nelle società di oggi i social media?

I social media rivestono sicuramente un ruolo fondamentale per quanto riguarda lo sviluppo e la diffusione dei movimenti sociali. A partire dalla proteste della cosiddetta primavera araba, Facebook e Twitter hanno dato impulso alle proteste e hanno contributo a divulgare informazioni non riportate dai media tradizionali.

La prova tangibile che i social media sono diventati uno strumento privilegiato per la diffusione del conflitto, e dunque potenzialmente pericolosi per il potere costituito, è stata la recente decisione del premier Erdoğan di far chiudere Twitter in Turchia . Anche l’est Europa ha avuto modo di sperimentare la potenza di questo mezzo: le proteste per la salvaguardia di Picin Park a Banja Luka nel giugno 2012 hanno assunto una dimensione di massa dopo l’invito lanciato su Facebook ad occupare il parco per opporsi al taglio degli alberi, mentre le notizie su quanto stava accadendo a Gezi Park sono state diffuse in tutto il mondo via Twitter e Facebook.

Se, da un lato, i social media possono agire come cassa di risonanza per i movimenti, dall’altro lato però presentano il rischio di smobilitare la piazza, soprattutto in quei paesi che non hanno una tradizione di proteste di massa: a volte risulta molto più semplice mettere un “mi piace” piuttosto che mobilitarsi e protestare in modo attivo.

La protesta per Roșia Montană ha portato in piazza migliaia di romeni, ma ha soprattutto creato una “presenza” potente online sotto l’ahshtag #unitisalvam. Secondo lei si può parlare di nascita di movimenti “non strutturati” e apolitici che hanno il loro terreno sul web come nuova agorà sociale?

Le proteste nate in difesa del villaggio di Roșia Montană hanno dato vita a quello che è stato definito il primo movimento sociale della Romania post-comunista. I social media hanno sicuramente contributo alla loro diffusione, rendendo possibile la grande mobilitazione dell’autunno 2013, con dimostrazioni che hanno avuto luogo non solo in Romania, ma in molte piazze del mondo.

La classe politica romena è stata colta impreparata: a differenza di altri paesi, la Romania non ha una tradizione di proteste di massa, retaggio di un regime comunista che impediva ogni forma di dissenso. Le ultime, grandi manifestazioni di massa si sono tenute infatti nel 1989, e hanno portato alla caduta del regime di Ceaușescu.

Se, da un lato, il movimento, in quanto tale, non è strutturato, nel senso che non è organizzato in modo verticistico, non concordo ancora una volta sul termine apolitico. Preferisco ribadire che il movimento è apartitico: nonostante alcuni partiti politici abbiano provato ad appropriarsi della protesta fornendo appoggio ai manifestanti, hanno ricevuto da questi un netto diniego. Non bisogna sottovalutare la dimensione politica della protesta: il messaggio mandato dalle piazze è chiaro. Una classe politica corrotta, che ha svenduto le risorse naturali del proprio territorio alle multinazionali estere (oltre a Roșia Montană, altre zone calde sono la miniera di Certej e la zona di Pungesti , dove la multinazionale americana Chevron ha ottenuto il permesso di trivellare il terreno alla ricerca di gas scisto), che affama la propria popolazione a suon di misure di austerità viene condannata dai propri cittadini.

La loro dimensione è dunque, innegabilmente politica. Quanto all’importanza del web come agorà sociale, il web ha facilitato sia la diffusione transnazionale della protesta che quella nazionale, salvando il movimento dall’oblio: i media romeni hanno infatti preferito non dare risalto alle proteste, agendo come cassa di risonanza della RMGC e trasmettendo la pubblicità della compagnia alla tv nazionale, invece di informare i cittadini su quanto stava accadendo nelle piazze del paese.

Quanto conterà tutto questo nelle prossime elezioni europee?

La percentuale di votanti alla prova delle elezioni europee per la Romania, nel 2009, si è mantenuta estremamente bassa, 27.67%. Secondo i dati forniti da recenti sondaggi, dalle elezioni europee del 2014 non ci si aspetta un improvviso boom di votanti. La popolazione romena continua ad essere tiepida, se non completamente disinteressata, all’elezione dei propri rappresentanti in Europa. Non è da aspettarsi che, nonostante il malcontento sociale sia aumentato e diventato manifesto, questo corrisponderà ad una rinnovata fiducia nei confronti delle istituzioni europee, né tanto meno ad un aumento della percentuale dei votanti.

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