Nella Valle del Sacco, cuore del Lazio, un caso che ricorda la Terra dei fuochi e l’Ilva di Taranto
testo di Carlo Ruggiero, foto di Matteo Di Giovanni
Questo è un viaggio sul fiume Sacco, uno dei fiumi più inquinati d’Italia. Cinque tappe lungo un corso d’acqua di 80 chilometri che bagna le ferite della gente che si ammala. E muore ogni giorno. Queste sono le voci di chi vive in questo territorio, tra fabbriche chimiche, immondezzai e fattorie. Questa è l’ennesima storia di una terra violentata e abbandonata, dopo esser stata adescata con un sogno effimero di ricchezza. A pochi chilometri da Roma, un caso che ricorda molto da vicino sia quello della Terra dei fuochi sia quello dell’Ilva di Taranto, ma che fa molto meno rumore. Il reportage prende spunto da Cattive acque. Storie dalla valle del Sacco, Round Robin editrice, un libro di Carlo Ruggiero in libreria dal 28 febbraio.
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TAPPA 5 – ALTRI DEMONI.
Numerosi rapporti sullo stato di salute dei cittadini della Valle del Sacco confermano un eccesso di malattie e di decessi. Eppure la letteratura scientifica sul caso non trova riscontri: quello che è successo qui non era mai successo prima
di Carlo Ruggiero
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3 maggio 2014 – L’acqua qui è calma, quasi immobile. Il cielo terso, le nuvole scure e le chiome folte dei pioppi e dei salici si riflettono limpide, con linee nette, luminose come in uno specchio. Sembrano quasi finte per quanto sono perfette, come se fossero state dipinte per l’occasione da un maestro olandese. Eppure, nonostante l’attrezzatissima area picnic, nonostante le staccionate di legno e il silenzio quasi religioso che si respira da queste parti, non siamo in Valle d’Aosta. Questo è il laghetto artificiale di San Giovanni Incarico, in piena Ciociaria.
È qui che il Sacco smette di scorrere, abbraccia il Liri, e trova finalmente riposo. Il lago, in realtà, è piuttosto piccolo, non più lungo un paio di chilometri, irregolare. E fa parte di una riserva naturale istituita nel 1997 dalla Regione Lazio. Nessun capannone industriale, qui, nessuna ciminiera, nessuna discarica, nemmeno un silo. Il fiume avvelenato è dietro l’angolo, anche se sembra lontano anni luce. Non riesci proprio a crederlo, ma quest’acqua limpida, almeno in parte, è la stessa che ha solcato l’intera Valle del Sacco, e che da decenni porta che con sé il suo carico di malattia e di morte.
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A dimostrarlo ci sono decine di studi, centinaia di documenti, tabelle, grafici e termini tecnici spesso incomprensibili. La catasta delle analisi su questo territorio è cresciuta a dismisura soprattutto a partire dal 2005, dopo il riconoscimento dello stato di emergenza. Anche se, già 4 anni prima, un rapporto commissionato dal comune di Anagni aveva rivelato valori altissimi per ogni tipo di sostanza tossica nell’acqua del Sacco. In alcuni punti si arrivava addirittura alla “completa morte biologica”, con una totale assenza di “ogni forma di vita batterica”, che impediva “qualsiasi consumo di ossigeno da parte di specie microbiotiche”. In sostanza, nel 2001, quel tratto del vecchio fiume era già acqua morta.
Quando lo spettro del Beta-Hch cominciò ad incombere minaccioso sulla Valle, però, gli esami iniziarono a farli soprattutto sulle persone. Nel marzo 2005 venne avviato il progetto “Salute della popolazione nell’area del Sacco”, gestito dal Dipartimento di Epidemiologia della Asl RmE su incarico della Regione. L’analisi riguardava le cause di morte e di malattia dei residenti nei comuni di Colleferro, Segni e Gavignano, Paliano, Anagni, Sgurgola, Morolo e Ferentino. Fu così che si scoprì che da queste parti per alcuni tipi di malattia si moriva molto di più che altrove. In particolare, si registravano troppi tumori allo stomaco, alla pleura e troppe malattie cardiovascolari, oltre che eccessivi ricoveri per problemi di cuore, asma e “disturbi del sistema nervoso periferico e degli organi genitali”.
In seguito, si passò alla cosiddetta “Indagine trasversale della popolazione”: si cominciò a cercare il lindano e altre sostanze nelle vene degli abitanti della zona. E stavolta i risultati furono davvero clamorosi: i livelli di Beta-Hch erano molto più alti in chi viveva vicino al fiume, con valori più che doppi rispetto ad altre aree. “L’uso delle acque di pozzi privati e il consumo di prodotti alimentari di produzione propria”, poi, apparivano “fortemente associati con la concentrazione”. Mentre i livelli crescevano con l’età dei soggetti, indicando che la contaminazione aveva “caratteristiche croniche con accumulo”.
Le prime verità sul Beta-Hch che gli scienziati riuscirono a documentare, insomma, consistevano nel fatto che quella roba veniva assunta soprattutto tramite l’acqua del Sacco, e che una volta assimilata non se andava più via, restava nel corpo, accumulandosi nel corso degli anni. Per quanto riguarda le altre sostanze, invece, il risultato più impressionante fu forse quello relativo alle policlorodibenzodiossine e ai policlorodibenzofurani. Nel sangue della gente di Colleferro quei due diversi tipi di diossina vennero trovati a “un livello superiore a quanto riscontrato nelle altre aree”, e soprattutto in misura maggiore rispetto a quanto si fosse finora “osservato in studi di letteratura”. La Valle del Sacco era ormai diventata un caso di studio unico al mondo, un enorme laboratorio a cielo aperto.
Negli anni successivi le indagini sono state estese gli abitanti di Frosinone, Ferentino, Ceccano, Supino, Patrica, Morolo, Castro dei Volsci, Pofi, Falvaterra, San Giovanni Incarico e Ceprano. I risultati confermavano quanto scoperto a Colleferro. Più recentemente, poi, nel giugno 2013, sono arrivati i dati relativi alla terza tranche del monitoraggio. Stavolta, nel rapporto, si afferma in maniera esplicita che il Beta-Hch ha effetti diretti sul metabolismo, sui reni, sugli ormoni e sulle capacità cognitive delle persone esposte.
In questi anni, però, il campo di studio dei ricercatori sulla Valle si è ampliato anche ad altri ambiti. È il caso del “Rapporto Eras (Epidemiolgia, Rifiuti, Ambiente e Salute)” del luglio 2012, che riguarda gli effetti del ciclo dei rifiuti sui cittadini. Il rapporto afferma che esiste un nesso tra la presenza di inceneritori e discariche e il loro stato di salute. Chi risiede a meno di cinque chilometri dagli impianti del Lazio si ammala di più, soprattutto i bambini. “Gli uomini residenti in aree identificate dai valori massimi di Pm10 (particolato, ndr) emesso dagli impianti” mostrano infatti un aumento “del 31% di ospedalizzazioni per malattie dell’apparato respiratorio e del 79% per malattie polmonari cronico ostruttive, rispetto ai residenti in aree meno esposte. Anche tra i bambini (…) si è osservato un aumento di ricoveri per infezioni acute delle vie respiratorie (+78%)”.
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Infine, c’è il dossier “Sentieri”. Sul frontespizio c’è una bella sfilza di loghi: Università La Sapienza, Ministero della Salute, Regione Lazio, Cnr e Istituto superiore di sanità. L’obiettivo è la verifica della situazione sanitaria nella maggior parte dei Siti di bonifica di interesse nazionale, i cosiddetti “Sin”. Nel capitoletto dedicato alla Valle del Sacco si legge: “Si è osservato un eccesso di mortalità per tutte le cause”. E ancora: “È stato osservato tra gli uomini un eccesso di mortalità per i tumori, per il tumore dello stomaco e le malattie dell’apparato digerente, e tra le donne per malattie dell’apparato circolatorio”.
Ancora un volta troppi morti, dunque, ancora un volta troppi tumori. I ricercatori affermano che tutto questo potrebbe essere dovuto proprio alle “esposizioni complesse di carattere occupazionale (sostanze chimiche, amianto) e ambientale (inquinamento dell’aria, del suolo e delle acque)”. Le esposizioni si sono sovrapposte nel tempo e “possono aver contribuito a un quadro epidemiologico articolato”.
Eppure qui, sulle sponde al laghetto di San Giovanni Incarico, ti scopri pensare ad altro. Questo paesaggio ti tiene lontano dalla malattia e dalla morte. Forse anche perché, dopo aver sonnecchiato un poco con il Sacco accanto alla diga, il Liri abbandonerà in fretta quel suo fratello sfortunato e riprenderà a scorrere da solo. S’ingrosserà ancora, passerà sotto altri ponti, solcherà l’intero meridione della Ciociaria. Poi abbraccerà il Gari e anche lui si perderà, stavolta tuffandosi nel Garigliano. Arrivati a quel punto, però, il Sacco sarà soltanto un lontano ricordo. E quel suo strano demone, così flaccido, pretenzioso e miope, avrà ormai perso tutto il suo potere sugli uomini. Perché laggiù scorre un’acqua diversa, e gli uomini sono dominati da altri demoni.
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