A Bologna, dal 6 al 16 maggio, è esposta la mostra “Bologna e i movimenti giovanili degli anni ’80 e ’90”, con fotografie in bianco e nero di Luciano Nadalini. La mostra, promossa dall’Associazione culturale U.F.O., è a ingresso libero e si trova nel cortile del complesso di San Giovanni in Monte. Quello che segue è il racconto dell’inaugurazione del 6 maggio, tra immagini dal passato, ricordi di ex militanti e proteste dei movimenti di oggi
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di Cora Ranci
le foto sono di Luciano Nadalini
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9 maggio 2014 – «Luciano Nadalini, ma lei se la aspettava una contestazione così all’inaugurazione della sua mostra?» «Eh, beh, sì». E infatti è andata proprio così. Non poteva passare inosservato agli attivisti in città il fatto che l’Università di Bologna ospitasse una mostra fotografica sui movimenti giovanili degli anni ’80 e ’90, alla cui inaugurazione ufficiale dovevano presenziare il rettore dell’Ateneo Ivano Dionigi – che non si è visto – e rappresentanti comunali. “Schiavi nella città più libera del mondo”, citava lo striscione esposto dagli attivisti del centro sociale Atlantide, ultima realtà occupata rimasta nel centro di Bologna, e attualmente sotto sgombero.
La mostra, ospitata dal Complesso di San Giovanni in Monte, sede del Dipartimento di Storia, comprende circa cento fotografie in bianco e nero dello storico fotoreporter bolognese, per molti anni fotografo de l’Unità. Immagini che raccontano le contestazioni giovanili nella Bologna degli anni ’80 e dei primi anni ’90.
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No, non sono immagini dei soliti anni ’70, quelle aule magne piene di fumo con le mani alzate per decidere l’occupazione. Si vedono creste, giubbotti in pelle nera. Qui siamo nel pieno del movimento punk. E poi i giovani della Pantera, il movimento di protesta nazionale nato sull’onda della contestazione della riforma Ruberti che voleva introdurre l’autonomia nelle università. E che a Bologna ha portato alla storica occupazione dell’Isola del Kantiere, all’interno del Teatro Arena del Sole. Lo sgombero è arrivato una mattina di agosto del 1991. Luciano Nadalini era lì, con il suo obiettivo, a documentare. Quello scantinato occupato nel pieno centro di Bologna negli anni era diventato il più avanzato laboratorio di sperimentazione dell’hip hop e del rap italiano. No, non sono decisamente gli anni ’70. In queste foto Francesco Guccini e Claudio Lolli li vedi già adulti, invitati dagli studenti della Facoltà di Scienze Politiche occupata. «Sentivamo che il mondo stava cambiando profondamente, ci sentivamo il primo movimento del XXI secolo», racconta un’ex pantera che adesso, dice, continua le lotte per la scuola pubblica, ma come padre. Non ha l’aria di avere la verità in tasca, quest’uomo, non c’entra nulla con gli “ex sessantottini”.
E poi le occupazioni per il diritto alla casa, e la cosiddetta “protesta dei vassoi”, contro la privatizzazione della mensa universitaria. Quando gli studenti portarono i vassoi della mensa fino in rettorato. È tutto negli scatti di Nadalini, il cui obiettivo cerca i momenti di conflitto: foto di cortei, di sgomberi, giovani con sorrisi beffarsi, di sfida. Bologna ha una storia importante di contestazioni e conflitti che questa mostra fa conoscere e valorizza.
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Ma chi fa le lotte oggi non ha gradito l’operazione. Per primo è arrivato il collettivo C.U.A. con lo striscione “Ci volete nei musei, ci troverete nelle lotte!”. La loro idea è che sul tema dei movimenti non ci sia alcuna memoria condivisa da mostrare. «Ma almeno guardate le foto!», borbotta tra sé e sé Nadalini. No, se ne vanno. Per loro non ci sono margini. Invece resta il collettivo di Atlantide. «Mi sembra di essere a un funerale – esclama un attivista – invece i movimenti ci sono ancora, e queste istituzioni che oggi inaugurano la mostra si vogliono lavare la faccia».
«Le cose secondo me stanno così – interviene un ex occupante dell’Isola nel Kantiere, giubbotto di jeans, una folta massa di ricci – negli anni abbiamo assistito a un processo di istituzionalizzazione delle occupazioni. Questa mostra per me celebra una vittoria, sono le istituzioni che vogliono mettere il cappello sulle lotte». Vero. Applausi dai compagni.
Ma Nadalini non ci sta: «Ma io sono un fotografo, il mio mestiere è documentare! E’ come quando leggi un libro: prima lo leggi, poi puoi dire se sei d’accordo oppure no. Io ho voluto raccontare una storia, quella del movimento della Pantera, che secondo me è stato l’ultimo grande movimento che si è battuto per i diritti civili in Italia. Il funerale c’è stato, ma non è questa mostra: il funerale è stato quello sgombero del 1991 che io ho fotografato». Applausi anche per lui.
«No, no, aspetta: non siamo contro la mostra», precisa un’occupante di Atlantide. È la cornice istituzionale che stride. «C’è il mio compagno in quelle foto, quella è la nostra storia: ci stiamo riappropriando di un nostro spazio», quasi grida una ragazza emozionata nel prendere parola in quello che pian piano è diventato un largo cerchio di persone. «Giusto», annuisce Nadalini. E con lui annuisce tutta l’assemblea spontanea improvvisata lì, nel chiostro del meraviglioso complesso di San Giovanni in Monte – ex convento, divenuto carcere (nel 1977 ci finì anche qualche manifestante), oggi sede universitaria. A dare prova che no, non c’è memoria condivisa, e forse è ingenuo pensare che possa esserci. To be continued.
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