End Zone

In libreria arriva la traduzione italiana del romanzo che Don DeLillo, nel 1972, scrisse attorno al mondo del football americano

 

di Christian Elia

 

9 maggio 2014 – Martedì 6 maggio, dopo 42 anni, è uscito in libreria End Zone, romanzo del maestro statunitense Don DeLillo. La traduzione di Federica Aceto, per la casa editrice Einaudi, regala finalmente al pubblico italiano un momento di grande letteratura sportiva.

Il romanzo, infatti, racconta la storia di Gary Harkness. Anzi, è Gary stesso a raccontare il suo rapporto con il football americano. In una frase: “Senza il football la mia vita non avrebbe senso”.

La narrativa di DeLillo, per gli appassionati, è nota per un gioco di rimbalzi che regala emozioni e smarrimenti in egual misura. Come nel suo Underworld il baseball finiva per essere la chiave narrativa di un mondo che passava dagli immigrati del Bronx alla scissione dell’atomo, il football è l’unità di misura di un America in divenire, in transizione tra i grandi spazi e la catastrofe nucleare.

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Le paure di un mondo che andato a letto contadino si svegliava finanziario sono nel viaggio di Gary, che per campare accetta l’ingaggio di uno sperduto college in Texas, antitesi dei monti dove era cresciuto.

Una terra arsa e desolata, che spinge a speculazioni mentali, su catastrofi e conflitti. Uno scenario post-atomico, solo immaginato, temuto e desiderato allo stesso tempo. Un mondo impazzito, dove la geometria perfetta degl schemi del football sono un’ancora di salvezza. Dove le regole del campo da gioco suppliscono a quelle mancanti in un mondo impazzito.

Sport e caos, sport e guerra. Come in Underworld, appunto, che lega la partita dei Giants contro i Dodgers a New York all’esplosione della prima testata atomica sovietica, nel 1951.

LE IMMAGINI DI DODGERS – GIANTS DEL 1951

 

Un mondo che insegna la lotta per la sopravvivenza, in un eterno sgomitare, correre, inseguire e scappare. Un mondo che tentava di dettare la legge del più forte a tutta una società, che impediva all’altro di non sentirsi straniero, come un running back che si trova da solo contro gli avversari. Un mondo che non perdona chi cade.

Lo spogliatoio, le vicende di campo, il marketing che si affaccia nello sport, la retorica dell’agonismo, metafora della guerra, la regressione di studenti che – raccontati singolarmente – sono persone, ma collettivamente devono diventare una macchina da guerra, disumanizzata quanto più è possibile.

Un tocco magistrale, di un DeLillo giovane e lontano dalla sua maturità letteraria, che regala pagine convesse, piene di energia, come in un campo da gioco. Perché “quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”, ama ripetere il padre di Gary. Raccontando, in una riga, come le parole hanno la capacità di sottrarsi al loro significato, forte almeno quanto quello del running back Gary di sfuggire al suo marcatore.

 

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