Alabama Monroe

Di Felix Van Groenigen, con Johan Heldebergh, Veerle Baetens, Nell Catrysse, Gert Van Rampelberg, Nils De Caster, Robbie Cleiren

Nelle sale dall’8 maggio 

 

di Irene Merli

 

10 maggio 2014 – Arriva sui nostri schermi il principale rivale de La Grande Bellezza agli Oscar. Un film belga, anzi strettamente fiammingo, che ha perso la corsa contro Sorrentino ma ha avuto premi alla Berlinale e al TribecaFilmFest, nonché il Cesar per la migliore pellicola straniera.

In effetti Alabama Monroe inchioda alle sedie anche i più cinici, perché racconta a tinte forti, con una splendida colonna sonora e attori non comuni per identificazione nei personaggi, la storia di un grande amore e di come la sofferenza riesca a spezzare per sempre un rapporto che sembrava indistruttibile.

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Elise è una bellissima tatuatrice che ha inciso sul corpo la sua storia. Didier invece suona il banjo in un gruppo di bluegrass e vive nel mito dell’America rurale. Sono due outsider nella società ordinata e conformista del Belgio fiammingo e quando si incontrano è subito amore. Di quelli passionali e profondi, in cui uno si riconosce nell’altro. Ad avvicinarli e unirli ancora di più è la musica, tanto che Elise si mette a cantare nel gruppo in cui suona Didier.

Un giorno la splendida singer resta incinta e i due si trovano all’improvviso a cambiare vita e casa: non si può far crescere un bambino in una roulotte, dice proprio il neohippy e gigantesco Didier, che all’inizio era rimasto spiazzato dalla prospettiva di un’enorme responsabilità che non l’aveva mai neppure sfiorato.

L’incontro appassionato si trasforma quindi in un’esistenza familiare gioiosa e fuori da ogni schema, finché la piccola Marybelle, cresciuta in mezzo ad animali e musicisti, a soli sei anni si ammala.

Da qui si andrà fino al fondo del dolore possibile per un essere umano, ma ad aiutarci ad affrontarlo è l’ordine non cronologico della narrazione, che il registra costruisce con continui passaggi avanti e indietro nel tempo, alternando lo strazio del presente con il dolcissimo e allegro passato.

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Solo le ultime scene procederanno lineari verso la conclusione. E noi, poco a poco, vedremo i due protagonisti trasformarsi, scorticarsi, sanguinare di fronte al dolore da cui sono attraversati, che elaboreranno in maniera irrimediabilmente diversa. Con visioni della vita irremediabilmente diverse.
Due parole sulla musica di questo film. Il bluegrass, infatti, come ha dichiarato il regista «è parte integrante della storia, rappresenta il filo conduttore di tutte le questioni chiave: la vita, la morte, la nascita, l’America, la maternità, la paternità,la vita dopo la morte. Il bluegrass è ciò che unisce la coppia».
Chapeau… Anche se i fiamminghi non amano i complimenti nel francese dei vicini valloni.

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