Dopo due anni di assenza il vecchio Abdoulaye ritorna a Dakar. Lui si sente il padre della patria, i suoi compatrioti lo definiscono il capo di uno dei governi più bui della storia del Paese
di Lorenzo Bagnoli
12 maggio 2014 – L’ex presidente senegalese Abdoulaye Wade dopo due anni d’assenza è tornato a Dakar il 25 aprile. «Bisogna che Macky comprenda che sta facendo degli errori!», dichiara alla stampa, riferendosi all’attuale presidente, Macky Sall, che a febbraio 2012 l’ha sconfitto alle urne.
Wade si sente ancora il salvatore della patria. Nonostante i suoi 87 anni, nonostante l’intellighenzia senegalese abbia bollato gli anni del suo governo come i più bui della storia politica senegalese, nonostante la magistratura abbia messo sotto tiro le ricchezze di famiglia custodite dal figlio Karim. E ancora mantiene il suo carisma tra i senegalesi. Almeno uno scopo del suo viaggio in patria è chiaro: salvare gli averi di famiglia, messi in pericolo dall’attuale presidente Macky Sall.
Lo scrittore senegalese Boubacar Boris Diop ha più volte paragonato i 12 anni di ininterrotto governo di Abdoulaye Wade (dal 2000 al 2012) alla tragedia del battello Joola. Il 26 settembre 2002 l’imbarcazione salpava con a bordo, secondo le fonti locali, circa duemila persone. Il carico ufficiale era di 550. Risultato: la nave naufraga e sopravvivono in 65. «Più che un segreto di Stato il numero ufficiale delle vittime è un tabù», scriveva Boris Diop su Le monde diplomatique. «Se il risveglio è stato brutale – continua lo scrittore – è perché troppo a lungo ci siamo lasciati cullare dalla nostra grandeur, dalle manie di grandezza».
E così è rimasto. Ora che Gorgui, “il Vecchio” in wolof, il dialetto locale, è riapprodato a Dakar, scoppiano come bolle le promesse di Macky Sall di un nuovo corso. Il suo mandato doveva essere il segno di un cambiamento. Ha stabilito la Corte per la sanzione dei patrimoni illeciti (Crei) apposta per svelare corruttele e ruberie che hanno sostenuto il regime nepotistico di Gorgui nei suoi anni da presidente.
Primo tra i conti a finire sotto tiro, quello del figlio di Wade, Karim, presidente in pectore almeno nei pensieri del padre che, tutt’oggi, vuole che il Senegal sia un suo feudo. La ricchezza illecita di Karim Wade secondo i magistrati s’aggira attorno a 178 milioni di euro.
Ottenuti come? Karim non l’ha mai spiegato. Secondo i magistrati l’avrebbe accumulata attraverso società a scatole cinesi, come la Aviation Handling service e la Hardstant, gestite da prestanome di un’importante famiglia libanese: gli Aboukhalil. Avrebbe poi incassato una mazzetta di 8 miliardi di franchi Cfa (12 milioni di euro) dalla Dubai Ceramic, filiale della Dubai Ports World.
Da settembre 2013, Karim è in prigione in Senegal da circa un anno e il 17 aprile era attesa una sentenza definitiva sull’affaire che riguarda il suo portafoglio. E l’arrivo dell’anziano padre ha sparigliato le carte in tavola: Wade senior ha persino minacciato di «far cadere Macky e marciare sul Tribunale», se solo lo volesse.
E invece la strategia di Gorgui è apparire ancora come il padre della patria, come l’uomo credibile per la rinascita del Senegal. Tanto poi qualcuno inizia già a dubitare della bontà di “Mani pulite”, l’operazione che doveva essere un repulisti della classe politica locale. Ma queste, come dice a Jeune Afrique uno stretto collaboratore di Macky «è la macchina burocratica del Senegal»: ci vuole niente ad incepparla e far esplodere i propri sogni di grandezza.
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