Due anni fa, la prima scossa del terremoto in Emilia. La storia di un caseificio di San Prospero, tra difficoltà e ripresa
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/Andrea-Cardoni.jpg[/author_image] [author_info]testo, foto e video di Andrea Cardoni. Andrea Cardoni è responsabile comunicazione Anpas Nazionale. Ha pensato e raccontato, con video, foto e cose scritte, storie e tante care cose dei villaggi rurali della Tanzania, dei terremoti dall’Aquila all’Emilia, di un partigiano che ha più di 100 anni che si chiama Garibaldo e di suo nonno Remo.[/author_info] [/author]
20 maggio 2014 – Ci sono dei mestieri che hanno la stessa forma della faccia di chi li fa. Soprattutto i mestieri che si fanno con le mani, con le cose da toccare, da trasformare in altre forme. Roberto fa il casaro e ha gli occhi, le guance e la bocca della stessa forma del suo formaggio. Ogni giorno fa quattro forme di formaggio semigrasso: ci mette dentro 550 litri di latte, sale, fermenti lattici e caglio. Ogni forma la marchia con un “2515” il numero di riconoscimento del suo caseificio e ha diametro di 50 centimetri.
Roberto fa il casaro a San Prospero, in via Verdeta, e il suo è uno dei 37 caseifici dove ventiquattro mesi fa sono cadute quasi 600 mila forme di Parmigiano Reggiano, di cui 15 mila sono state distrutte (fonte Consorzio Parmigiano Reggiano). Ventiquattro mesi è la stagionatura di un parmigiano e di quel che è successo sembrano ricordarsene solo le 45 mila persone che vivono nei 58 comuni del cratere, visto che il terremoto ha colpito l’Emilia che è operosa, dove realizza il 2% del Pil in Italia, sembra essersi subito rialzata e non avere più problemi.
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Quel giorno di ventiquattro mesi fa le forme di Roberto sono cadute da 5 metri e si sono rotte tutte e Roberto ci ha messo una settimana per capire che dovrà lavorare per altri 15 o 20 anni per rimettere tutto come era prima. In quella settimana ha visto persone che venivano da tutta Italia per comprare il suo parmigiano: «C’erano quelli che pretendevano di comprare il parmigiano a un euro al chilo e poi c’erano quelli che ci hanno aiutato veramente e che ancora vengono qui e che mi invitano a portare le forme e che si ricordano di me». I primi dodici mesi li ha passati a risistemare il caseificio ma «come succede quando si sta male, poi le sventure si attaccano tutte una dietro l’altra. Il 2014 siamo ripartiti a pieno regime, però non facciamone una tragedia e andiamo avanti».
E le forme di Roberto sono andate avanti. Da due anni i caseifici colpiti dal terremoto aprono al pubblico per far conoscere come viene fatto il Parmigiano Reggiano DOP e Roberto, pochi giorni fa, ha aperto il suo. E quelle di Roberto sono lezioni di economia quando spiega, ad esempio, tutti i marchi che deve avere il Parmigiano che si compra o che deve essere tagliato davanti al cliente e la crosta ci vuole «perché il parmigiano nasce con la crosta e chi la toglie fa il formaggio come la pelle di Michael Jackson. E poi i formaggi senza crosta al supermercato li fanno pagare pure di più al chilo perché dicono alla rasdora che le fanno un favore a togliere la crosta, e invece la paga lo stesso».
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Altra lezione: un buon formaggio invecchiato deve scrocchiare come una persona che ha ottant’anni.
Domanda: «Costa più lo stracchino o il Parmigiano?». Con 100 chili di latte si fanno 20 chili di stracchino a 18 euro al chilo e va mangiato subito altrimenti si butta. Con 100 chili di latte si fanno 7 chili di parmigiano a 16 euro al chilo, si può mangiare dopo 18 mesi e per i successivi 36 dal momento della produzione della forma. Non c’è lezione che non finisca con una dimostrazione: Roberto apre la forma e dice a tutti di sentirne l’odore appena aperta e tutte le storie che racconta sono lì dentro, con i fermenti che hanno fatto la battaglia per trentasei mesi, con la forma che ogni giorno è stata rigirata, con i controlli, i marchi, mentre fuori dalla forma c’è chi cerca di imitarlo, chi lo vuol pagare un euro al chilo dopo il terremoto, chi gli toglie la crosta facendolo pagare di più.
Ma la forma della faccia del mestiere di Roberto, il casaro, resta quella del suo formaggio, tonda 50 centimetri, marchiata 2515 con gli ultimi ventiquattro mesi di stagionatura e qualche scaglia ancora da riparare.
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