Paesi geograficamente lontani ma in un certo qual modo uniti sotto il periodo del nazionalismo arabo negli anni ’70. Paesi che si sono poi ritrovati sotto il comune denominatore di ‘Primavera Araba’ ma che hanno intrapreso strade diverse. Paesi che hanno visto nuovamente intrecciare il loro destino tramite l’esodo dei profughi siriani attraverso la Libia e da lì verso l’Europa. Libia e Siria. Così lontani, così vicini
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/05/420123_10151175537452702_1483123099_n.jpg[/author_image] [author_info]di Cristiano Tinazzi. Classe ’72, giornalista, da circa dieci anni segue gli eventi in Nordafrica e Medioriente. Ha vissuto gran parte della ‘Primavera araba’ tra Tunisi e Tripoli. Ha lavorato per tv, radio, agenzie e carta stampata. Ha un blog, ildottorgonzo.wordpress.com, che aggiorna quando gli pare. Odia Twitter e ha due gatti: Tongo e una profuga siriana presa ad Aleppo. Siria (Hurryia, appunto…)[/author_info] [/author]
21 maggio 2014 – I recenti eventi in Libia possono essere letti in vari modi, ma uno su tutti sembra essere il più esaustivo, ovvero la necessità di un uomo in grado di riprendere il monopolio della forza nel Paese ed eliminare tutte le sacche di resistenza centrifughe che l’hanno messo in ginocchio dalla morte del Raìs.
Il generale pensionato Haftar sarà il nuovo “uomo della provvidenza” libico? Presto per dirlo, ma il dato di fatto evidente è che Gheddafi era l’unico in grado (con il terrore, ovviamente, e con la distribuzione calcolata di prebende alle varie tribù in un gioco di raffinato equilibrismo politico) di tenere unito un “non stato” quale è la Libia. Niente incensazioni sul personaggio, ma il Colonnello ha comunque fatto la storia della Libia moderna.
La rivoluzione del ’69 era un atto necessario e giusto di liberazione dall’ottica neocolonialista dell’Occidente nei confronti di Medioriente e Africa sviluppatasi dalla fine della II Guerra Mondiale. La visione nazionalista e nasseriana in quel periodo aveva un senso, ma ciò che sono diventati vari Paesi arabi e maghrebini nel corso dei decenni, hanno tramutato l’ondata rivoluzionaria in una cristallizzazione del potere in mano a potentati, clan e famiglie.
La Jamahiriya gheddafiana era diventata una grande truffa popolare. Un mito senza fondamenti. Il Baath ha fatto lo stesso in Siria e Iraq. In Tunisia con la mafia legalizzata dei Ben Ali. Da rivoluzioni a moderne satrapie orientali. Poi il 2011 che spazza la polvere incrostata. Nuove rivoluzioni. Indotte, spontanee, poco importa chi ha acceso la miccia. E’ successo.
Tornando al caso della Libia è singolare come poco dopo la morte di Gheddafi a Tripoli, il 24 dicembre 2011 (ricorrenza della fondazione della Libia monarchica nel 1951) si svolse una curiosa cerimonia nell’ex palazzo del re (prima ancora del governatore Italo Balbo). Tra leader tribali, ambasciatori stranieri e uomini politici, c’era anche un Senussi in rappresentanza del principe Idriss. E in una atmosfera ovattata, venne presentato un documentario stile film Luce degli anni ’50 che rappresentava, in chiave propagandistica, le conquiste portate dalla monarchia.
Cosa poco realistica, visto che il Paese sotto i Senussi non brillava certo per progresso sociale, distribuzione delle ricchezze e alfabetizzazione. Tutti a bocca aperta a guardare un film. Una sorta di passato aureo e mitologico sul quale costruire il mito fondativo del nuovo stato. Un altro mito appunto. Che non ha funzionato però. Dal 2011 a oggi pochi passi sono stati fatti sulla via della democrazia. Una costituente mai portata a termine, un Primo Ministro dopo l’altro incapaci di disarmare le milizie e fare una politica unitaria.
Ricatti, minacce, mignotte, sequestri, jihadisti incazzati, un parlamento diviso per fazioni e correnti politico/religiose che ricalcano il Risiko libico, città stato di fatto indipendenti (come Misurata e Zintan), conflitti interetnici e tribali. Mafie che gestiscono (e gestivano) le migrazioni verso Nord Africa ed Europa.
Khalifa Haftar è il ritorno, come in Egitto, a una normalizzazione del Paese in chiave militare? Il trend nei paesi coinvolti dalla Primavera araba, scoppiata nel 2011, sembra riportare, in alcuni casi, a una uscita dal politicamente confuso (seppur democraticamente eletto, come in Egitto) ‘islam politico’ e a fragili tentativi di democratizzazione a una visione dove la chiave del controllo di questi Paesi è tornata nelle mani delle forze armate come uniche detentrici della stabilizzazione.
Della serie: ci piace stare sotto il tacco dei militari perché da soli non siamo capaci di fare niente. Ma è proprio così? O pretendiamo troppo, come occidentali, senza dare in cambio nulla, visto che il Paese è stato nei fatti, abbandonato a sé stesso? C’è (spero ancora, visto il casino per portarla) una colomba alta quattro metri nel giardino del re. Tutta ricoperta di bossoli raccolti nei dintorni di Sirte. Casualmente venne inaugurata proprio il 24 dicembre. Ma questa è un’altra storia.
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