Il 9 maggio in Russia si celebra il giorno della vittoria contro il nazifascismo. A Novi Sad, ai festeggiamenti della comunità russa si uniscono anche giovani serbi che, dicono, sentono l’Europa lontana
di Patrizia Riso
21 maggio 2014 – Il 9 maggio mi è sempre sembrato un giorno come un altro e pensavo sarebbe stato così anche nella calda primavera serba. Evidentemente dovevo venire a vivere a Novi Sad per scoprire che questa giornata rappresenta qualcosa di più.
In russo Den Pobedy significa giorno della vittoria. La sera dell’8 maggio 1945 le truppe nazi fasciste hanno ufficializzato la resa con l’esercito sovietico attraverso la stesura di un documento firmato, quando in Russia era già scoccata la mezzanotte. Nel 1965 il 9 maggio è stato dichiarato festa nazionale in quelle che allora erano tutte le repubbliche sovietiche. Oggi viene celebrato in Russia con una parata militare che ricorda il sacrificio di circa 27 milioni di vittime nel corso della seconda guerra mondiale.
Evgeni – un amico russo che studia a Novi Sad con un programma di scambio universitario – mi invita ad una serata di celebrazione del Den Podeby – il Giorno della Vittoria – con canzoni, poesie e interventi culturali, presso un ristorante sul Danubio. Arrivo un po’ in ritardo, ma l’atmosfera è coinvolgente anche per me che capisco poco la lingua. Dopo varie letture di poesie e l’intervento di un partigiano serbo, mi ritrovo a battere le mani sulle note di Katyusha, vecchia melodia russa riadattata poi nella famosa canzone partigiana “Fischia il vento”. Ad organizzare la serata, in collaborazione con alcuni artisti locali, è stata Nina una signora di origine uzbeka, ex cittadina dell’Unione Sovietica, che ha sposato un serbo e vive nel paese da più di vent’anni.
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Polina, anche lei russa studentessa fuorisede in Serbia, presenta la serata in un bellissimo abito lungo. Chiedo a lei e ad Evgeni perché è importante celebrare la vittoria sul nazi-fascismo. Entrambi descrivono l’importanza di questa giornata di festa, anche se attualmente in Russia sembra che per molti sia diventata l’occasione per divertirsi piuttosto che un momento per mantenere vivo il ricordo delle vittime e della lotta antifascista. Evgeni mi spiega che è ancora più importante tenere vivo il ricordo perché la Russia è un paese multinazionale: a San Pietroburgo, per esempio, ci sono comunità di ebrei, finlandesi e ungheresi. I due studenti russi non hanno dubbi sul fatto che la mancanza di memoria influisca sull’educazione degli studenti russi con gravi esiti. Inoltre, anche il presidente Putin ha ricordato quanto sia importante l’esercizio della memoria storica del Paese, quindi l’invito va necessariamente colto. Chiedo se adesso in Ucraina stanno festeggiando e Polina è molta cauta nel rispondere: “Sicuramente prima era una festa molto sentita, ma adesso, almeno in una parte del Paese, la situazione è più pericolosa”.
Mentre chiacchiero con Polina ed Evgenie, il gruppo lirico a cappella che prima ha emozionato i presenti, è tornato sul palco e al termine della loro esecuzione si susseguono diversi Urà! Il grido della vittoria è internazionale. Sto per andare via, ma alcuni ragazzi serbi presenti mi chiedono di intervistare anche loro. Milan, Stefan e Lazer, studiano all’università e mi confermano un sentimento comune in Serbia: la vicinanza alla Russia a causa di diversi elementi: stessa religione, uso dell’alfabeto cirillico e sentimenti contrastanti rispetto all’Europa, entità vicina ma politicamente lontana. “Sappiamo cos’è la dichiarazione Schuman, ma non ci riguarda, preferiamo ricordare il sacrificio di milioni di soldati russi perché da sempre i due paesi sono uniti da un sentimento di fratellanza”. Non è un caso infatti che il locale sia affollato da cittadini serbi, anche perché la comunità russa non è molto estesa.
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Il 9 maggio è infatti stato scelto quale data simbolo per celebrare l’Europa, o meglio, l’Unione Europea, non solo perché è la data di vittoria sul nazifascismo, ma perché il 9 maggio 1950 è stata proposta la Dichiarazione Schuman che ha gettato le basi per la costituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA). E’ pur sempre venerdì sera e decido di dirigermi in Trg Slobode, la piazza centrale di Novi Sad, dove il Centro Culturale Studentesco (SKCNS) ha organizzato la manifestazione “Ritam Evrope”. Mi ritrovo in una piazza stracolma di giovani, più desiderosi di divertimento che di celebrazioni comunitarie. Il rock probabilmente funziona più delle dichiarazioni ufficiali di intenti e il ritmo dell’Europa trascina, nonostante lo scarso successo di concretizzare un sentimento europeista, a partire dalle feste istituzionali.
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