Intervista ad Alfredo Barroso, storica voce del Partito Socialista portoghese che annuncia il sostegno al Bloco de Esquerda
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-20-alle-18.34.04.png[/author_image] [author_info]di Marcello Sacco, da Lisbona. Nato a Lecce, vive da anni a Lisbona, dove lavora come professore, traduttore e giornalista freelance. La sua pubblicazione più recente è “Salazar. Ascesa e caduta di un dittatore tecnico” (Besa 2014)[/author_info] [/author]
24 maggio 2014 – Giornalista e saggista brillante, nonché presenza televisiva fuori dagli schemi nei dibattiti che nel triennio della troika si sono moltiplicati sul piccolo schermo portoghese, Alfredo Barroso ha una lunga storia di militante socialista. Si vanta di avere la tessera nº15 del partito che ha contribuito a fondare, ma non si meraviglierebbe di esserne espulso ora che, per le Europee di domenica prossima, ha dichiarato il suo sostegno al Bloco de Esquerda (BE), il partito che in Portogallo propone Tsipras alla presidenza della Commissione Europea e che qualche anno fa sembrava poter diventare la Syriza portoghese, invece si presenta a queste elezioni già frazionato, con almeno altre due liste nate da altrettante sue costole. Barroso il suo più recente libro l’ha dedicato proprio alla “crisi della sinistra europea”, ma parliamo in particolare della crisi della sinistra portoghese.
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Dalle legislative del 2009, sommando i voti di socialisti, comunisti e BE, veniva fuori un parlamento con una netta maggioranza di sinistra (54%). Eppure in Portogallo il muro di Berlino sembra non essere mai caduto: socialisti e comunisti non si parlano. José Sócrates decise di governare da solo, in minoranza, poi cadde sulla manovra economica che non volle negoziare (contando sul consenso della destra) e arrivò la troika.
Non solo Sócrates non volle negoziare, ma durante il dibattito in aula si rivolse con tanta veemenza ai banchi della sinistra, che furono quasi obbligati a votare la mozione di sfiducia. Anche la sinistra comunista però, in Portogallo, ha le sue responsabilità, essendosi mantenuta sempre su posizioni ortodosse, cosa che avrà permesso al Pcp di sopravvivere (al contrario degli altri partiti comunisti europei), ma isolato. Il problema della democrazia portoghese è proprio qui. Il Partito socialdemocratico (attuale partito di maggioranza, ndr) riesce ad allearsi sia a destra, con il Partito popolare, sia a sinistra, con il Ps. Quest’ultimo invece non riesce (o non vuole) fare alleanze se non alla sua destra. In Portogallo esiste una maggioranza sociologica di sinistra, ma non esiste una sinistra come un tutto. Nel Partito socialista c’è una forte tendenza alle larghe intese. Gli ultimi leader socialisti – come Sócrates e, prima di lui, António Guterres – erano tutti adepti della cosiddetta “terza via”, tanto cara a Tony Blair. Guterres ha praticamente introdotto questo concetto in Portogallo e infatti è diventato anche, per un certo periodo, presidente dell’Internazionale Socialista, organizzazione nella quale aveva proposto di ammettere il Partito democratico americano. Questa propensione alle alleanze al centro si traduce nella spartizione, tra socialisti e socialdemocratici, delle poltrone dei manager pubblici, che poi passano nel privato. È un grosso traffico di influenze estremamente dannoso per la democrazia.
Ma da queste elezioni europee ci si può apettare qualche segnale nuovo anche sul piano interno?
Innanzitutto ci sarà un tasso di astensionismo molto elevato, purtroppo. Da un lato capisco la disillusione della gente, ma dall’altro mi fa impressione l’indifferenza con cui guardano alla politica. E se anche la sinistra dovesse vincere – vincendo di misura e con un alto astensionismo, come i più recenti sondaggi indicano – nel futuro prossimo cambierà ben poco. A meno che non venga un altro disastro.
Il Portogallo ha dato all’Europa l’attuale presidente della Commissione José Manuel Durão Barroso. Che cosa ne pensa?
È un camaleonte ambizioso e (non vorrei dirlo, ma lo dico) spregevole. Una cosa che forse non tutti in Europa sanno è che Durão Barroso negli anni ’70 era un militante maoista e stalinista. Si trovano suoi vecchi articoli in Rete, firmati come “compagno Abel”, che elogiano l’operato del grande Stalin.
Sarà solo teoria della cospirazione, ma alcuni militanti storici del Partito comunista dicono che già all’epoca certi gruppi di estrema sinistra fossero finanziati dalla Cia.
Non so quanto c’entrasse la Cia, non posso dirlo con certezza, ma la violenza con cui attaccavano il Partito comunista puzzava di bruciato, in effetti. Ad ogni modo, Durão Barroso se ne andò all’estero per motivi di studio e tornò in patria come seguace del Psd. È stato ministro degli Esteri di Cavaco Silva (attuale presidente della Repubblica, ndr) e ha fatto carriera nel Psd, di cui è diventato segretario – battendo rivali che avevano fatto la gavetta da quadri di partito – in un momento in cui il governo socialista di Guterres entrava in crisi. Ha vinto le elezioni, ma i suoi due anni di governo non hanno portato niente di buono. Ha fatto da maggiordomo al summit delle Azzorre, quello in cui si decise quell’altra catastrofe che è stata l’invasione dell’Iraq. Alle Europee del 2004 (in coalizione con i popolari nella lista “Forza Portogallo”, ndr) prese una batosta dai socialisti, ma proclamò che non avrebbe abbandonato il suo posto. Una settimana dopo gli offrirono la presidenza della Commissione e lasciò il Paese in balia di una crisi di governo. In quest’ultimo ruolo istituzionale non vale la pena dire quello che tutti sanno: è stato un disastro, completamente asservito ai governi più forti. In sostanza, ad Angela Merkel.
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