Genova, la comunità, i suoi ragazzi e i suoi sogni
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/09/Ilaria_Brusadelli.jpg[/author_image] [author_info]Ilaria Brusadelli, classe 1986. Ha la testa fra le nuvole ma i piedi per terra. Giornalista, perché è una buona scusa per conoscere il mondo e fare domande[/author_info] [/author]
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/09/Marco_Besana.jpg[/author_image] [author_info]Marco Besana, classe 1983. Gran sognatore. Gran viaggiatore. Giornalista perché è più facile raccontare gli altri che se stesso[/author_info] [/author]
Ilaria e Marco sono tra i fondatori dell’associazione ¡NO MÁS!
27 maggio 2014 – Genova. Via San Benedetto. Civico 12. È una porta verde, una porta come tante. Eppure è da lì che inizia la Comunità di San Benedetto al Porto, voluta e fondata da don Andrea Gallo.
Proprio il 22 maggio si è ricordato il primo anno della scomparsa di uno dei sacerdoti più discussi di sempre. In questi giorni l’Italia l’ha raccontato, ricordato, celebrato attraverso la voce di artisti, giornalisti e persone che hanno incrociato la sua strada.
Ma è soprattutto nella canonica che lo ha accolto quarantacinque anni fa che, quotidianamente, si incontra quello spirito umile e fraterno dell’opera di don Gallo al fianco degli “ultimi” in direzione ostinata e contraria.
È un ragazzo a due passi dalla stazione di Porta Principe che ci invita a premere quel campanello “Suonate alla porta vicino alla chiesa, vi aprirà la Lilli”.
La Lilli è la storica segretaria del Gallo, come lei stessa lo ha sempre chiamato. È arrivata alla Comunità di San Benedetto al Porto nel 1983 e, da allora, ha seguito don Gallo in tutte le sue attività, diventando una vera e propria colonna portante per la Comunità intera. È lei che – durante i funerali di quello che tutti conoscono come il prete di strada – è riuscita a contenere i fischi di indignazione e di protesta scoppiati quando il Cardinal Bagnasco disse che don Gallo riteneva “padre e benefattore” il Cardinal Siri, responsabile della sua cacciata dalla parrocchia del Carmine nel 1970.
Lei non c’è, ma ci apre Luana che ci accompagna tra le modeste stanze dove viveva don Gallo. L’atrio che si apre oltrepassato l’ingresso è colmo di scatoloni di vestiti, segni evidenti dell’attività frenetica della comunità; le scale che portano al piano superiore accompagnano a stanze dove immagini religiose si alternano ai poster di De André, alle stampe di Che Guevara e alle fotografie di alcuni momenti vissuti dagli ospiti della Comunità.
“Qui è iniziato tutto negli anni ‘70. Si parla sempre di don Andrea Gallo, ma nulla sarebbe stato possibile senza don Federico Rebora, che ancora oggi è il parroco di San Benedetto al Porto. È lui che ha accolto don Gallo quando è stato allontanato dalla sua parrocchia. Solo lui, in tutta la città, gli ha aperto le porte ed è anche grazie a lui se la Comunità ha potuto nascere e diventare quello che è oggi. Ora la comunità, oltre alla sede di Genova, ha progetti in Piemonte e nella Repubblica Dominicana. Quest’anno senza don Gallo è stato difficile. Difficile perché era la nostra guida. Perché prendeva sempre posizioni che, anche se al momento potevano lasciare perplessi, alla lunga si rivelavano giuste. È la sua lungimiranza che mi manca di più. Mi manca anche la sua incredibile e contagiosa passione per le minoranze. Sentiva come la necessità di schierarsi sempre dalla parte del più debole, di chi non aveva nessuno al suo fianco”.
Passiamo davanti alla cucina dove R. – uno degli ospiti della Comunità – sta preparando il pranzo, come ha fatto per tanti anni per don Gallo e continua a fare per chi entra ed esce dalla porta verde. Quel pranzo che consumava “quasi senza separasi dal suo sigaro”, seduto al centro di una semplice tavola di legno.
“Questa era la sua stanza – ci spiega Luana – abbiamo lasciato tutto come è sempre stato”. Tutto è un letto contro una parete di una piccola camera con tre letti – occupati da ospiti del centro – e un calendario fermo alla primavera del 2013; un comodino di legno e una croce.
Luana insegna in una scuola elementare e il resto delle sue giornate lo passa a servizio della comunità. Non è credente, ma, mentre ci mostra l’altare che per tanti anni ha ascoltato alcune fra le più dirompenti pagine della Chiesa di oggi, ci consiglia di rivedere le prediche di don Gallo su youtube.
“Ora vi porto nel suo studio – continua – era il posto dove passava più tempo, tanto che ha voluto rimanerci fino all’ultimo respiro. Ancora oggi c’e’ il suo profumo… ed ogni volta che entriamo ci viene un po’ da piangere”.
Di don Andrea Gallo rimangono ancora le foto della mamma e della zia che fanno capolino tra i suoi libri, quelli scritti da lui ma anche quelli di Gramsci e la collana degli album del suo amico fraterno Fabrizio De André.
Mentre salutiamo Luana, Anna Maria, “Nonna Anna” per tutti, ci prende sotto braccio e ci porta sul terrazzino che si affaccia sul mare e su quegli “svincoli micidiali“ cantati da De Gregori. Ha le mani che profumano di basilico, ma lascia per un attimo il tavolo dove sta lavorando per fermarsi a chiacchierare con noi.
”Questa mattina ero a casa – ci racconta – ma non riesco a stare a casa a fare la maglia come le signore della mia età. Così sono venuta qui e mi sono messa a fare ciò che poteva servire: oggi serve mondare il basilico, e così lo faccio. Il Gallo mi ha lasciato soprattutto questo: la voglia di fare, di non restare con le mani in mano; un’energia che avevo quando ero giovane. C’é sempre tanto lavoro da fare, ma don Gallo poteva contare su tante, tantissime persone, ognuna delle quali – con la sua possibilità – permetteva alla comunità di continuare ad esistere”.
Anna, come don Gallo, è stata partigiana. “Quando dicevo che durante la guerra facevo la postina, Gallo mi sgridava: Guarda che poi la gente pensa che lavoravi alle poste, devi dire che facevi la staffetta. Penso che la mia passione per la libertà, come anche quella del Gallo, derivi proprio da quel periodo. Quando lotti con la vita per la libertà, il suo sapore ti rimane in bocca e non puoi più farne a meno. Cosa mi ricordo in particolare di lui? Beh, lo conosco, lo conoscevo, da 15 anni, faccio fatica a dirlo… ricordo il suo sigaro, certo, ma soprattutto una frase che ripeteva sempre: io vado avanti con due bussole. La prima è il Vangelo. La seconda, la Costituzione. E in questa frase c’è tutta la sua storia, i suoi principi, la sua vita di prete di strada”.
Usciamo in via san Benedetto. Sopra al numero civico c’è la statua di una Madonna, quella che, come ci ha raccontato Luana, don Gallo guardava appena fuori dalla porta. Uno sguardo e poi via, sulla sua cattiva strada.