America/mondo. Il tutto e niente del discorso di West Point

Deludente discorso di Obama a West Point. Vago sulla Siria. Continua la lotta al terrore ma prima la diplomazia. Si aspetta il piatto forte: forse la Cina di cui si parlerà dei prossimi interventi messi in agenda per spiegare come l’America continuerà a governare il mondo: “America Must Always Lead” è infatti il titolo scelto dalla Casa Bianca per il primo di una decina di discorsi del Presidente

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di Emanuele Giordana, da Great Game

(articolo pubblicato anche su il manifesto il 29 maggio 2014)

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3 giugno 2014 – C’è una certa abilità nel dire non-dire che ha sempre contraddistinto la politica estera del presidente Obama. Ieri il capo di Stato americano non si è smentito. In un discorso, che secondo la Casa Bianca è il primo di una serie di interventi pubblici nei quali il presidente renderà chiaro il futuro prossimo della politica statunitense verso il mondo nei mesi a seguire, ha messo a fuoco una fetta di pianeta non da poco: Medio oriente e Africa. Quanto all’Afghanistan, appena qualche ora prima aveva fatto il punto sulla permanenza americana nelle valli dell’Hindukush: i soldati diminuiranno ma 10mila resteranno a presidiare il campo. Almeno sino al 2016.

Più soldi e diplomazia prima di mostrare  i muscoli militari. Obama ribadisce la distanza dalla politica di Bush ma con poche novità

Più soldi e diplomazia prima di mostrare
i muscoli militari. Obama ribadisce la distanza
dalla politica di Bush ma con poche novità

C’è un po’ di tutto e un po’ di nulla in questo discorso tenuto a WestPoint, considerando il fatto che c’era molta attesa su un intervento che avrebbe dovuto dire dove va l’America (vedi i punti principali riassunti in questo servizio della Bbc tra i quali c’è anche la chiusura di Guantanamo). Ma il piatto forte – l’Asia, la Cina – deve aspettare. C’è stata anche una contestazione iniziale da parte di un gruppo di attivisti di KnowDrones, associazione che chiede una legge contro gli arei senza pilota e contesta l’uso su larga scala che Obama ne fa. Ma a parte queste note di cronaca, del discorso si potrebbe dire, come si usa in gergo, che “non c’è notizia” se non fosse che una notizia, tutto sommato di poco conto, c’è.

La notizia è che la guerra al terrorismo non è ancora finita ma si combatte con altri mezzi e che sul piatto Obama mette 5 miliardi di dollari per un “Partenrniship Terrorism Fund” che serva a dare una mano a quei Paesi che lottano contro gli estremisti (a occhio tutti islamici). «Ho chiesto al Congresso – ha detto Obama nel suo discorso alla famosa accademia militare fondata ai tempi di George Washington – un fondo di 5 miliardi per sostenere una nuova partnership anti terrorista che possa consentirci di fare formazione e aumentare le capacità di quei Paesi che sono sulla linea del fronte». Quali? Yemen, Somalia, Libia (in accordo con la Ue), Mali (aiutando la Francia) e forse anche la Nigeria, non menzionata pur se Washington ha inviato 80 soldati in Ciad in sostegno alla ricerca delle studentesse sequestrate da Boko Haram.

Con l’Africa dunque ci siamo. E il Medio oriente? Il conflitto israelo-palestinese non viene menzionato (e forse questa è anche una nota positiva visto che poteva finire in un calderone anti terrorista che sarebbe piaciuto all’attuale leadership della Stato ebraico) ma sulla Siria il presidente resta vago: non si addentra in spiegazioni geopolitiche che potrebbero innescare polemiche (Iran, Golfo, Arabia saudita) ma si limita a dire che l’America promette un sostegno importante a chi combatte il regime di Assad. Senza fornire altri dettagli.

 

Il piatto forte - la politica in Asia e i rapporti col colosso cinese - nei prossimi discorsi del presidente

Il piatto forte – la politica in Asia
e i rapporti col colosso cinese –
nei prossimi discorsi del presidente

L’aspetto interessante di questo primo discorso sulla politica estera del presidente è che l’accento è tutto sulla diplomazia, preferita all’uso della forza militare. Ma è una virata già vista e spesso disattesa che lascia molte domande aperte. A una il presidente ha già risposto l’altro ieri al suo ritorno dalla base area di Bagram, a due passi da Kabul. Dopo la visita lampo ai soldati americani, Obama ha detto la sua (dopo una conversazione telefonica con Karzai) sulla «più lunga guerra» degli Stati Uniti che il presidente vuol portare a una «fine responsabile». La fine responsabile sposta intanto al 2016 il ritiro delle truppe. O meglio, 22mila militari torneranno a casa entro la fine del 2014, gli altri entro il 2016. Ha spiegato che «quando sono diventato presidente avevamo circa 180mila soldati, per la fine dell’anno ne avremo meno di diecimila». 9.800 per la precisione, un numero che sembra studiato come certi prezzi del supermercato per avere una cifra con meno zeri. Convinto che tra Kabul e Washington si firmerà il patto di sicurezza bilaterale (Bsa, tenuto in stand-by da Karzai), Obama prevede che alla fine del 2015 i diecimila si dimezzeranno per arrivare al termine di quell’anno «a quel che è una normale componente di sicurezza d’ambasciata come quella che abbiamo in Irak». Solo qualche mese fa Obama aveva però minacciato un’opzione zero se il Bsa non fosse stato firmato. Ora invece dice: resteremo. Quanto ai numeri, tutto il tira e molla di questi ultimi tempi fa pensare che siano ancora tutti da definire.

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