“Dom Hemingway”, di Richard Schepard, con Jude Law, Richard E. Grant, Demiqn Bichir, Emilia Clarke
di Irene Merli
4 giugno 2014 – Londra. Dopo 12 anni di carcere, Domingo (Dom) Hemingway torna finalmente in libertà. La detenzione è stata lunga, perché Dom, scassinatore dalle mani d’oro, crede ancora nei codici all’antica, e ha tenuto la bocca cucita sul boss russo per cui lavorava. Ma così facendo non ha visto crescere la figlia dodicenne e l’ha lasciata sola ad affrontare il cancro di sua moglie, morta mentre lui era in prigione.
Ora tutto quello che vuole è riscuotere la grossa, meritata ricompensa per il suo silenzio. Così, dopo una colossale sbronza di alcol, sesso e coca, va in Francia, nell’incantevole casa provenzale del boss Ivan, detto Fontaine, accompagnato da Dick, l’amico di sempre.
Ma Dom ha un problemino con la gestione della rabbia e il suo carattere un po’ troppo “esuberante” rischia di rovinare ogni cosa. Dom è insolente, aggressivo e non tiene a freno la lingua.
Non solo. Il codice d’onore che ha introiettato fin da ragazzino ormai non vale più un soldo. E anzi lo rende vulnerabile ai nuovi, spietati tempi. Fino a renderlo un irrimediabile “loser”, uno sfigato che nel giro di breve perde tutto quello per cui si è tanto sacrificato. Perché la vita l’ha colpito ben sotto la cintura. E lui non sa far altro che rubare, picchiare, urlare e sedurre.
“Dom Hemingway” non è certo un film perfetto, ma è uno straordinario one man show di Jude Law, prestante attore inglese che negli ultimi ruoli sta dimostrando una grande crescita personale. Basti pensare alla sua performance in “Anna Karenina”, dove recitava l’introverso e incolore marito: la migliore dell’intero gruppo dei protagonisti.
Qui tutto il film poggia sulle spalle, fin dalla prima, potentissima scena, che soprattutto in lingua originale lascia davvero allibiti. Jude Law, ingrassato di 10 chili, con un paio di assurde basette, naso e denti rovinati, in un unico piano sequenza si presenta agli spettatori nudo, appeso a una sbarra per le braccia, mentre enumera un’ode al suo organo sessuale articolata, audace e decisamente esplicita, lontanissima dal politically correct. Come del resto sono quasi tutti i dialoghi del film, l’altro atout di Dom Hemingway. Dialoghi divertenti, imprevedibili, sopra le righe, impudenti, senza censure. Un esempio dei più tranquilli? «Ascoltate tutti voi bastardi, plebei e codardi! Donne, pedofili e riccastri. Ascoltate voi pazzi, filistei ed omosessuali. Io sono Dom Hemingway! Dom Hemingway!».
Girato tra la Londra industriale dell’East End e il caldo sud del Francia, “Dom Hemingway” si offre agli spettatori con colori forti, iperrealistici, sopra le righe come il personaggio principale, persino nella scena iniziale girata ancora in prigione. E Jude Law riesce a costruire un personaggio potente e inedito che entra a buon diritto nella galleria dei gangster made in England duri quanto basta per sopravvivere ai più clamorosi rovesci della vita. Stile il Tom Hardy di “Bronson” o il Bob Hopkins (che riposi in pace, ci ha lasciati da poco) di “Un venerdì maledetto”.
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