Per la prima volta nella storia Modena andrà al ballottaggio per eleggere il proprio sindaco. Una telenovela di provincia che racconta un pezzo d’Italia.
Una co-produzione Converso e Q Code Magazine
Di Davide Lombardi, Giulia Bondi, Anna Ferri, foto d’epoca da vitainpiazzagrande.it
5 giugno 2014 – La sera del 26 maggio, a spoglio ultimato, nessuno si è presentato sul palco allestito in Piazza Grande, cuore di Modena, per festeggiare il nuovo sindaco. Gian Carlo Muzzarelli, candidato del PD – erede del partito che qui governa ininterrottamente dal dopoguerra – per la prima volta nella storia di una delle città simbolo dell’Emilia “rossa”, non ha raggiunto la maggioranza assoluta. Col 49,71 per cento delle preferenze dovrà andare al ballottaggio, il prossimo 8 giugno, contro il candidato del Movimento 5 stelle, Marco Bortolotti, fermatosi poco sopra il 16 per cento.
Quello di Gian Carlo Muzzarelli, che in città viene dato come sicuro sindaco al secondo turno, è un risultato che ovunque verrebbe considerato a dir poco eccellente. Anche in considerazione del fatto che altre due liste civiche, presentatesi con propri candidati alternativi alla coalizione capeggiata da Muzzarelli, ma chiaramente d’area centro sinistra, insieme hanno raggiunto oltre l’11 per cento. Voti non automatici al ballottaggio, ma difficile pensare che l’8 giugno non convoglieranno almeno in parte sul candidato democratico. Che dunque, dopo le fatiche di una lunga campagna cominciata nel gennaio scorso, dovrebbe in teoria poter dormire sonni tranquilli.
Ovunque, ma non a Modena. Perché sotto la Ghirlandina, la torre che da più di ottocento anni troneggia sulla città, questa temporanea sconfitta sul filo di lana rappresenta la fine di un’epoca. E soprattutto, il segnale delle difficoltà crescenti di un partito (che qualcuno qui chiama ancora “partitone” dai tempi del defunto PCI) arroccato – secondo i suoi critici – nella difesa dello status quo e poco capace di interpretare la voglia di rinnovamento, forte tanto quanto la paura di cambiare, che aleggia in città.
Una città, Modena, ancora ben più ricca della media nazionale, e che forse proprio per questo fatica più di altre a tradurre la crisi in una spinta al cambiamento. Una ricchezza costruita dal dopoguerra, attraverso quel “modello emiliano” che il giornalista e scrittore Edmondo Berselli sintetizzava così: “Se apre una cazzo di fabbrica – disse Rubes Triva, grande sindaco di Modena degli anni ’60-70 in un animato incontro con i sindacalisti della Cgil – il socialismo avanza più di quando una fabbrica chiude…”.
Oggi, il partito che ha governato per anni, contribuendo a costruire quella ricchezza, mostra le sue crepe, in controtendenza rispetto al successo nazionale del PD renziano. Un naturale impoverimento della classe dirigente dopo settant’anni di potere ininterrotto o un’incapacità di leggere il cambiamento della società e del territorio?
[continua su Converso Mag]
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