Mahienour El-Massry è una giovane rivoluzionaria che in Egitto lotta per i diritti delle donne, degli studenti, dei contadini, dei lavoratori. Da tre settimane è in carcere per aver organizzato le proteste di Alessandria nel 2011
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/05/foto_Papers.jpg[/author_image] [author_info]di Giuseppe Acconcia, dal Cairo. @stradedellest. Giornalista professionista e ricercatore specializzato in Medio Oriente. Corrisponde dal Cairo per il Manifesto e fa ricerca per l’Università di Pavia. È laureato in Economia politica all’Università Bocconi di Milano con tesi sul movimento riformista iraniano. Ha conseguito un Master in Middle Eastern Studies alla School of Oriental and African Studies (Soas) di Londra con tesi sul ruolo dell’esercito in politica in Medio Oriente. Ha insegnato all’Università americana del Cairo e lavorato nella cooperazione euro-mediterranea. Ha pubblicato saggi, è autore de La primavera egiziana (Infinito, 2012) e Un inverno di due giorni (Fara, 2007).[/author_info] [/author]
13 giugno 2014 – «Cercherò di non protestare per evitare l’arresto ma continuerò a recarmi in tribunale per aiutare chi non sa neppure perché è in prigione». Queste sono le parole che ci ha detto Mahienour El-Massry nel nostro ultimo incontro del marzo scorso tra i grattacieli che circondano la terrazza dell’Odeon, un bar à birra del centro del Cairo. Mahie aveva appena ricevuto una condanna a due anni e una multa di 50mila ghinee (circa 5200 euro) per aver violato la legge anti-proteste insieme ad altri otto giovani attivisti di Alessandria d’Egitto.
La condanna è stata applicata tre settimane fa e la giovane attivista egiziana, 28 anni, è stata arrestata per aver preso parte e organizzato un assembramento ad Alessandria per ricordare uno dei simboli delle rivolte del 2011, Khaled Said, ucciso dalla polizia nel 2010.
Eppure Mahie, non sembrava molto preoccupata per il suo arresto perché, da avvocato e attivista dei socialisti rivoluzionari, crede in una lotta di lungo periodo che parta dalla ridiscussione dei privilegi delle classi agiate. Mahie non ha mai rinunciato a lottare per le sue idee e non aveva nessuna paura della prigione. Non ha ascoltato chi nella sua famiglia ha visto in Sisi il ritorno di un nuovo Nasser. Non ha creduto all’occupazione sistematica dei sindacati da parte dei Fratelli musulmani. Non ha ceduto alla dimenticanza nella difesa dei diritti delle famiglie dei martiri della rivoluzione del 25 gennaio 2011.
2011-2014: lo spazio della contestazione ad Alessandria d’Egitto
I giudici egiziani hanno colpito Mahie per intimorire un folto gruppo di attivisti laici che, nonostante censure e restrizioni (con la messa al bando del movimento 6 aprile, gli arresti di tre dei leader del movimento nato nel 2008 a sostegno degli scioperi, l’arresto dell’attivista Alaa Abdel Fattah) ha continuato a contestare i metodi antidemocratici dell’esercito.
E così, raccontare l’impegno anti-regime di Mahie significa descrivere come le contestazioni si sono svolte ad Alessandria, una città completamente diversa dal Cairo, con uno spazio pubblico proteso verso il mare ed esteso fino all’immensa università cittadina (dove tra la moschea di Qait Ibhrahim e Sidi Gaber si sono svolte le principali manifestazioni dal 2011 in poi) e uno sterminato entroterra, con una periferia estremamente disagiata.
Abbiamo incontrato Mahie per la prima volta nel dicembre 2012 quando l’Egitto era diviso sulla Costituzione, voluta dai Fratelli musulmani. Insieme a lei abbiamo visitato i quartieri popolari di West el-Aghani, el Amereia dove si trovano centinaia di industrie, fino alla città costiera di Marsa Matruh. Nel centro urbano si concentrano i ricchi palazzi nei rioni di Kafr Abdu e Rushdy. Ma più il mare è lontano, più i vicoli non asfaltati e i palazzi di mattoni nati senza criterio spuntano ovunque. Il lungomare con la torre di Qait Bey e la biblioteca alessandrina sembrano lontanissimi dagli slum di Nadi Sid e Mopgzar Ali.
Prima dei consueti scontri dopo la preghiera del venerdì, abbiamo partecipiamo insieme a Mahie alla riunione di coordinamento delle opposizioni, il Fronte di salvezza nazionale, ora dissolto. Il suo amico Tarek Moktar aveva appena organizzato un imponente sciopero dei medici. «Chiediamo che venga assegnato un budget per il sistema sanitario, di stabilire che la salute è un diritto di tutti e l’aumento dei salari del personale ospedaliero. Sta scioperando oltre il 90 per cento del personale medico perché la Costituzione non va in questa direzione», denunciava Tarek.
Susan Nada, altra protagonista dei movimenti di Alessandria, segretario del Partito socialista dei lavoratori, criticava duramente l’Assemblea costituente definendola illegittima, per l’assenza di rappresentanti di donne, contadini, studenti e lavoratori. «Vogliono privatizzare completamente il sistema sanitario e inibire il movimento sindacale. Se la Costituzione del 1971 stabiliva nel 6 per cento i profitti da distribuire ai lavoratori ora non c’è nessun riferimento preciso. Non è questo il risultato della nostra rivoluzione», concludeva Nada.
Dai Tamarrod all’arresto
Con questo spirito abbiamo incontrato di nuovo Mahie durante le manifestazioni del movimento per le dimissioni dell’ex presidente Mohammed Morsi. La campagna di raccolta firme Tamarrod (rivolta), nel maggio 2013, era sostenuta dei movimenti liberali e socialisti e non era infiltrata da esponenti dei Servizi segreti militari, come è stato confermato in seguito al colpo di stato militare del 3 luglio 2013.
Le urla di Mahie echeggiavano più forti di ogni altro uomo o donna che partecipasse alle manifestazioni alle porte della Corte di Alessandria. La sua voglia di scardinare il sistema dal basso non le ha mai impedito di passare giornate intere nelle corti di Alessandria e del Cairo al fianco degli attivisti arrestati o nelle stazioni di polizia per chiedere della sorte e difendere detenuti, arrestati arbitrariamente.
Dopo venti giorni di prigione, Mahienour ha potuto inviare la sua prima e commovente lettera dal carcere consegnandola al suo avvocato Mohammed Ramadan. Nella missiva, Mahie descrive il carcere come un microcosmo di poveri e ricchi dove i secondi hanno accesso a tutto e i primi a niente, proprio come nella vita reale. I detenuti della sua cella sono lì perché non hanno potuto pagare dei debiti, molti per le spese dei matrimoni dei figli.
Mahie parla della condizione delle donne nella prigione di Damanhour ad Alessandria: «non dobbiamo chiedere il rilascio di un individuo e ignorare i bisogni del popolo». Dal carcere, Mahie continua a sostenere la cancellazione della legge anti-proteste e auspica di scardinare il sistema di classe, aggiungendo che i diritti dei poveri possono essere solo realizzati con la loro partecipazione. «Dobbiamo organizzarci e interagire con le persone, dobbiamo parlare loro dei diritti dei poveri e delle soluzioni che abbiamo per loro. Dobbiamo chiedere la liberazione dei poveri così che la gente capisca che non siamo isolati da loro», scrive Mahie.
Sono state organizzate due contestazioni per chiedere il rilascio di Mahie. La prima si è tenuta alle porte della sede del Centro per i diritti economici e sociali (Ecesr) del comunista Khaled Ali ad Alessandria d’Egitto. 16 attivisti, tra cui Tarek Moktar, sono stati arrestati e poi rilasciati.
Al Cairo la protesta si è svolta alle porte del sindacato dei giornalisti. Anche in questo caso però la marcia che ha percorso il centro della città fino a piazza Talaat Harb ha subito un attacco con il lancio di vetri e pietre costringendo i contestatori alla fuga. Ormai, nell’Egitto dell’ex generale Abdel Fattah el-Sisi non c’è più spazio per la contestazione dei giovani rivoluzionari. Nonostante ciò Mahie continuerà a lottare per i diritti degli ultimi e le famiglie dei martiri delle proteste degli ultimi tre anni in Egitto. Con la speranza che l’udienza, del 28 giugno prossimo della Corte di appello di Alessandria sull’arresto e la detenzione di Mahie, possa riportare in libertà la più sincera e coraggiosa degli attivisti egiziani.
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