Il Paese dei mondiali di calcio è anche quello dove le carceri sono luoghi di sistematica violazione dei diritti umani
di Elena Esposto. @loveSleepless.
13 giugno 2014 – Non so se siete mai entrati in una prigione. Io ho fatto volontariato per un periodo nel carcere di una piccola città italiana.
Suoni il campanello, spingi la spessa porta blindata, saluti la guardia e gli consegni la tua carta di identità, depositi il cellulare e altri dispositivi elettronici nella cassetta di sicurezza e varchi la soglia.
Il pesante cancello di ferro si chiude dietro di te. Sei dentro, e il mondo che ti dice che lì sono tutti criminali e non si meritano la tua pietà rimane fuori.
Immaginate ora di essere una donna brasiliana. Immaginate che uno dei vostri parenti più cari (marito, figlio, fratello…) sia in carcere. Un carcere inumano, sovraffollato (ma per davvero), celle piene di gente che dorme su amache appese l’una sull’altra stile loculo, un carcere dove i prigionieri sono sottoposti a pratiche talvolta brutali, un carcere sporco, umido, terribile.
È il giorno delle visite, pensate che sarà bello rivedere la persona amata anche solo per poco tempo.
Sarà bello, pensate. E vi sbagliate. Vi sbagliate di grosso.
-Signora, entri e tolga i vestiti, anche quelli del bambino. Tolga anche le mutandine e il reggiseno. Ecco, anche le mutande del bambino, per favore. Adesso ho bisogno che lei si accucci tre volte su quello specchio che c’è sul pavimento.
-Così?
-No, così non si vede niente. Apra la vagina con le mani perché io possa vedere.
-Ma non riesco.
-E allora deve tossire e fare forza come se stesse partorendo.
(Colpi di tosse).
-Perfetto, adesso il bambino.
-Signora, io voglio solo vedere mio figlio…
-Questo è il mio dovere signora, non complichi le cose. Prima la perquisisco prima vedrà suo figlio e prima io finisco il mio lavoro capito?
-Ce n’è proprio bisogno?
-Sì. Quello che non manca qui è gente che cerca di entrare con droga o cellulari. È facile, se non ha nulla da nascondere non deve aver paura. Chi non deve non teme.
-E tutti devono passarci?
-Chiaro! Qui non ci sono né re né regine.
-Anche lei viene perquisita così?
-Cosa? Crede che io sia una criminale? Siete voi i famigliari dei prigionieri, voi dovete essere perquisiti.
-Buongiorno.
-Buongiorno.
-Ho detto buon giorno!
-Buongiorno.
-Tolga la camicetta, i pantaloni… tutti i vestiti, forza, forza! Si accucci qui sullo specchio. Senza chiacchiere, si accucci, si accucci (urlando)!
-È… è la mia prima visita, signora. Non sono abituata a restare nuda di fronte agli altri…
-Non posso farci niente. Qui si fa così. Si accucci tre volte e resti così perché io veda se non sta nascondendo niente là dentro. Veloce, veloce (urlando). Cosa sta facendo? Ehi, ehi, per caso le ho detto che può mettersi le mutandine? Si sieda li sulla panchina e si rivesta solo quando glielo dico io.
-Non glielo dirò di nuovo, ***. Dov’è quella *** di sim? Lo so che la sta nascondendo da qualche parte, brutta figlia di ***.
-No signora, le do la mia parola…
-E crede che la sua parola valga qualcosa qui?
-Togli tutti i vestiti, veloce, accucciati tre volte. Dobbiamo perquisirti, togli anche le mutandine. E prega perché non ti troviamo addosso niente…
(fonte dei dialoghi: www.fimdarevistavexatoria.org.br/)
Avete provato a mettervi nei panni di queste persone? Provate a immaginare come deve essere essere costretti a spogliarsi di fronte ad altra gente, essere perquisiti intimamente da brutali secondini che vi mortificano e offendono senza ragione.
I dialoghi sopra riportati non sono frutto della mia fantasia ma sono storie di quotidiana umiliazione nelle prigioni brasiliane. Pratiche brutali cui madri, mogli e sorelle, figlie e figli piccoli dei prigionieri sono costretti a subire in giorno di visite.
Anziane, adolescenti, bambine e bambini, bebè i fasce, donne incinte sono ispezionate senza il minimo rispetto per la dignità e l’integrità del corpo umano né per minimi standard igienici.
Sono pochissime le donne che trovano il coraggio di denunciare questi abusi per paura che la vendetta dei carcerieri di rifletta sui loro parenti in prigione, per paura che li torturino o che li puniscano impedendo loro le visite per settimane.
Queste pratiche sono considerate illegali da una serie di leggi nazionali e internazionali.
La Costituzione Federale garantisce il rispetto della dignità umana (Art. 1) e impone che nessuno sia sottomesso a trattamento inumano e degradante e che l’intimità e inviolabile (Art. 5).
Lo Statuto di Protezione di Bambini ed Adolescenti prevede che essi non siano sottomessi a nessun tipo di pratica umiliante o degradante. Senza considerare la risoluzione del 12 luglio 2006, emessa dal Consiglio Nazionale di Politica Criminale e Penitenziaria, che raccomanda l’utilizzo di apparecchi elettronici per le perquisizioni in carceri e la preservazione della dignità umana durante il processo perquisitore condotto manualmente.
Il Brasile ha inoltre ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura il che ha portato il Comitato per la prevenzione della tortura a sostenere nel 2012 che “perquisizioni anali e vaginali dovrebbero essere proibite dalla legge”.
La cosa più ridicola della faccenda è che i numeri relativi a sequestri di oggetti proibiti a parenti dei carcerati sono irrisori.
Da una ricerca della Rede de Justiça Criminal risulta che solo lo 0,03% dei visitatori sarebbe stata trovata in possesso di droga e di cellulari mentre altre ricerche condotte in Stati che hanno proibito il procedimento (Goiânia e Espírito Santo) non hanno rilevato particolari problemi collegati alla fine delle pratiche di perquisizione.
Non per essere ripetitivi ma il Brasile è annoverato nel club delle democrazie, oltre ad essere uno dei Giganti sulla scena mondiale. Ah sì, ed è anche il Paese che ospita i Mondiali di Calcio per i quali sono stati spesi centinaia di milioni di dollari. Siamo al punto di sempre, mi viene quasi la nausea a pensarci. A volte preferirei spegnere il cervello e accendere la TV sul canale dei cartoni animati. Ma non ci riesco.
Qualcuno mi accusa di parlare troppo male del Brasile. Non è questione di parlare bene o parlare male. È questione di restare il più aderenti possibile alla realtà.
E dalla realtà non si può scappare. Il meglio che possiamo fare è restare e cercare di raccontarla.
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