L’esercito israeliano conduce una massiccia operazione di arresti collettivi e distruzione di case alla ricerca dei tre coloni scomparsi, ma l’affaire è più complesso
di Christian Elia
@eliachr
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18 giugno 2014 – Non c’è pace in Palestina. Sono quasi settanta anni che è così, ma non mancano mai le occasioni per rendere la condizione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania sempre più drammatica.
Proprio nei giorni in cui, con la benedizione di Usa e Ue, si riconciliavano i due principali partiti palestinesi, dando vita il 2 giugno a un esecutivo tecnico per arrivare in sei mesi a nuove elezioni, ponendo almeno sulla carta fine alla faida iniziata nel 2006, quando Hamas ha vinto le elezioni, che il cielo torna a tuonare.
Sono gli F16 dell’esercito israeliano che minacciano civili inermi, come se le operazioni di intelligence e di ricerca necessarie per trovare tre persone scomparse, potessero essere sostituite da operazioni militari su vasta scala.
I fatti. Gilad Shaer (16 anni), Naftali Frenkel (16 anni) e Eyal Ifrach (19 anni) scompaiono giovedì scorso, 12 giugno 2014. Si tratta di tre coloni, studenti della yeshiva (scuola rabbinica) di Kar Etzion, che stavano facendo l’autostop lungo la strada che collega Hebron con Gerusalemme. Vivono negli insediamenti illegali proprio a Hebron, in città vecchia, dove forse nel modo più brutale si dispiega ogni giorno la prevaricazione dei coloni.
La strada che conduce alla tomba dei Patriarchi (Abramo, Isacco e Giacobbe), luogo venerato da cristianesimo, Islam ed ebraismo, è coperta da una rete vergognosa, che trattiene gli oggetti che e i coloni – impiantati proprio nel cuore della città vecchia – lanciano su palestinesi.
Si deve aver visto la rete per proteggersi dai coloni di Hebron per cogliere l’odio nel quale vengono educati i giovani occupanti e per conoscere la rabbia e la frustrazione che i palestinesi mangiano a pranzo e a cena. La dinamica della scomparsa, però, resta lo stesso molto oscura.
L’unica rivendicazione giunta fino a ora è quella di un presunto gruppo salafita che si è firmato Daulat al-Islam. Non si può non notare il perfetto timing dell’operazione, che se si rivelasse un rapimento, farebbe tornare alla mente quello di Aldo Moro proprio alla vigilia di un accordo con il Partito Comunista dell’epoca. Che come noto, non era desiderato né dagli estremisti né dai cosiddetti moderati.
Perché ora? Di ragazzi che vivono nelle colonie, quella strada, è piena giorno e notte. Sono comunità armate fino ai denti, protette comunque da unità dell’esercito israeliano. Un rischio enorme, poche possibilità di farla franca. Nessun paragone è possibile con il soldato Gilad Shalit, rapito a Gaza nel 2006. Differente il contesto (la guerra in Libano), l’obiettivo (un militare) e la zona, Gaza, dove i gruppi hanno ben altra libertà di movimento.
Di sicuro questo rapimento non aiuta l’accordo di pace. Da giorni l’esercito israeliano compie rastrellamenti, arresti, distruzioni di case. L’escalation militare sembra dietro l’angolo, ma ancora una volta non si può punire un popolo intero per le colpe di un gruppo. Retorico, certo, ma drammaticamente vero: nessuno bombarda Palermo per l’omicidio di Falcone e Borsellino.
Cui prodest? Questa la domanda che si attorciglia a queste ore inquiete, proprio quando l’unità dei palestinesi faceva sperare in un ricompattato fronte interno. Non conviene ad Hamas e Fatah, non conviene a Usa e Ue, che proprio adesso avevano appoggiato l’accordo, non conviene ai civili palestinesi pronti a tutto per conoscere un alleggerimento dell’occupazione. Conviene di sicuro a tutti i gruppi estremisti, che purtroppo dopo anni di promesse non mantenute si formano anche in Palestina. Conviene al governo israeliano di Netanyahu, che vedeva questo accordo come fumo neglio occhi e ora ha tutti i pretesti del mondo per affondare l’ennesimo colpo.
Sia chiaro, qui nessuno dice che il governo israeliano rapisca i propri cittadini per un obiettivo politico, ma è innegabile che il governo Netayahu utilizzerà questa vicenda – che tutti si augurano a lieto fine – per sottolineare ancora una volta la teoria per cui con i palestinesi non si può trattare perché inaffidabili.
Inutile negare che i coloni non sono amati. Basta vedere ogni giorno le violenze e le umiliazioni che infliggono ai palestinesi per conoscere il livello di disprezzo che si sono meritati nei luoghi che occupano illegalmente dal 1967. Ma l’operazione pare troppo ardita, troppo facile per non destare mille domande. Nei prossimi giorni potrebbe scatenarsi l’inferno, nell’attesa che almeno per una volta prevalga la ragionevolezza.
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