Il sogno interrotto

La nazionale ungherese degli anni Cinquanta, molto più di una squadra di calcio
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In occasione dei mondiali di calcio in Brasile, il blog ripubblicherà alcune delle puntate dello speciale di PeaceReporter Il terzo tempo (2010), confluite poi nel mio libro Storie in fuorigioco (2012), scaricabile gratuitamente in pdf, con l’introduzione di Gianni Mura. Il calcio quando esce dagli stretti confini delle linee di fondo.


di Christian Elia, tratto da PeaceReporter
@eliachr

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20 giugno 2014 – Uno dei limiti del calcio contemporaneo è quello che le squadre mancano di un undici base. Le formazioni storiche le reciti tutte d’un fiato. Segnatevi questa: Grosics, Buzanszky, Lorant, Lantos, Bozsik, Zakarias, Budaj, Kocsis, Hidegkuti, Puskas, Czibor. Allenatore mister Sebes.
La rappresentativa nazionale dell’Ungheria che dal 1949 al 1954 ”offriva asilo estetico ai cacciatori del bello”, secondo la felice definizione del giornalista sportivo italiano Roberto Beccantini.

Un’esagerazione? No, per niente. Non a caso è passata alla storia come Aranycsapat, parola ungherese per ‘squadra d’oro’. Un po’ di numeri: tra il 1950 e il 1956 giocò 83 gare perdendone solo una. La più importante, come vedremo dopo. Ma sempre una. Un mito, che il partito comunista al potere a Budapest non vuole farsi scappare. ”La vittoria è necessaria al partito”, si sentivano ripetere i giocatori dai dirigenti politici. La squadra non si fa pregare e regala vittorie e gioco spettacolare.

 

Soccer - World Cup Switzerland 54 - Final - Hungary v West Germany
“Chi sarebbe il loro capitano, il ciccione?”, chiede un improvvido Billy Wright, capitano della nazionale inglese, mentre la Aranycsapat fa il suo ingresso in campo nel 1953 aWembley, il tempio degli inventori del calcio, a Londra. Il ciccione è Ferenc Puskas, il violino solista di un’orchestra perfetta. La ‘pantera nera’ Grosics tra i pali, Hidegkuti centravanti arretrato e rampa di lancio per le velocissime ali Czibor e Budaj, il ‘ciccione’ e il cobra Kocsis a finalizzare. Una sinfonia, che i tattici chiamano MM, dalle posizioni degli uomini in campo. Simbolo del gruppo le scarpette modificate, basse al tallone, per agevolare i colpi d’esterno. Un marchio di fabbrica.
Puskas fa due reti, finisce 6-3 per gli ungheresi. Per la prima volta l’Inghilterra è violata in casa (la rivincita a Budapest fu anche peggio, con i britannici battuti 7-1). Mesi prima, alle Olimpiadi di Helsinki del 1952, la Aranycsapat vince la medaglia d’oro, ma è la Coppa del Mondo del 1954, organizzata dalla Svizzera, il palcoscenico dove la squadra dei sogni dovrà consacrarsi nel mito.

La partita della vita. Un mito che, per motivi politici, negli anni della Guerra Fredda non inizia e non finisce in un terreno di gioco. La Aranycsapat non è solo il simbolo del regime ungherese, ma del comunismo intero. Un gioco collettivo, in grado di superare tutti i personalismi. Il nuovo che avanza, pronto a travolgere il vecchio capitalismo. Ci crede anche il giovane Gabor, protagonista del bel romanzo – saggio La squadra spezzata, il libro che il giornalista Luigi Bolognini ha dedicato all’Aranycsapat.

Un ragazzino come tanti, con il mito di Puskas, uomo da 84 reti in 85 partite in nazionale. Modello sportivo, ideale di vittoria sociale, simbolo di una nuova epoca. In Svizzera tutta inizia per il meglio, l’Ungheria vola: 25 reti in quattro gare. Il finale sembra già scritto. A contendere il titolo nella finalissima di Berna, 4 luglio 1954, la Germania Ovest, umiliata dall’Ungheria 8-3 nella prima fase. Al 10° minuto del primo tempo tutto sembra finito: 2- 0 per l’Ungheria.

 

 

La Germania, però, non ci sta e, in pochi minuti, si riporta sul 2-2. Sembra che gli ungheresi paghino un eccesso di spocchia, ma il risultato non pare in discussione. Invece, come una doccia fredda, a pochi munuti dal termine Helmut Rahn segna il 3-2. A Puskas viene anullato inspiegabilmente il 3-3. Arbitraggio filo-occidentale? Doping dei tedeschi (sei su undici dei giocatori della formazione teutonica morirono prima dei 60 anni per patologie controverse)?

Non ci sono certezze. Solo che l’Aranycsapat ha perso la partita più importante e nulla sarà mai più come prima. C’è chi collega alla sconfitta l’inizio del declino del regime ungherese e dei moti di piazza per una riforma democratica del Paese. Un malcontento strisciante che, nel 1956, scoppia nelle piazze con il leader Imre Nagy che annuncia un governo aperto non solo al partito comunista. Mosca reagisce inviando i carri armati.

Nel sangue finiscono i sogni degli ungheresi, che per alcuni si mischiano alle lacrime di Puskas nel fango di Berna. Il giovane Gabor, nel romanzo di Bolognini, corre in piazza con la maglia del ‘ciccione’, ma qualcosa si è rotto e la stessa mitica squadra di disperde. A qualcuno va bene, come Puskas appunto.

Riesce a fuggire e a raggiungere Madrid, dove vincerà tre Coppe dei Campioni e sei campionati, diventando una leggenda del calcio. Altri, come Kocsis, restano segnati e il grande attaccante si suiciderà a Budapest nel 1979. I tedeschi ricordano i mondiali del 1954 come quelli del ‘miracolo di Berna’, mentre a Gabor e a tutti gli altri, in piazza, a Budapest, è rimasto il gusto amaro del sogno spezzato sul più bello.

 

 

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