La mano di Dio

Quando Maradona, a modo suo, vendicò la sconfitta argentina contro l’Inghilterra alle Falkland/Malvinas
In occasione dei mondiali di calcio in Brasile, il blog ripubblicherà alcune delle puntate dello speciale di PeaceReporter Il terzo tempo (2010), confluite poi nel mio libro Storie in fuorigioco (2012), scaricabile gratuitamente in pdf, con l’introduzione di Gianni Mura. Il calcio quando esce dagli stretti confini delle linee di fondo.
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di Christian Elia, tratto da PeaceReporter
@eliachr
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25 giugno 2014 – Di questi tempi la storia si fa memoria per immagini. I mondiali di calcio, per esempio, non si possono raccontare senza la ‘mano de dios’, la rete irregolare segnata da Diego Armando Maradona nei quarti di finale dell’edizione 1986, in Messico, contro l’Inghilterra.

Attori non protagonisti. Per un momento, però, si può allargare l’immagine a tutto quello che c’era attorno. L’attimo diventa leggenda, ma si nutre anche di frammenti, di attori non protagonisti.
Quali sono le comparse di quel 22 giugno 1986, stadio Azteca di Città del Messico? Quali i co-protagonisti che hanno contribuito a creare un momento eterno? In primo luogo gli avversari: l’Inghilterra.

Il portiere, per esempio, Peter Shilton. Un gentiluomo dei campi di calcio, per 125 volte a difesa della porta inglese. Al 51° del primo tempo, come un lampo, resta accecato dall’inserimento centrale di quel folletto indemoniato, un casco di riccioli e il numero dieci sulle spalle. Il più grande, ma basso. Molto basso. La palla è alta e Shilton, forte dei suoi 185 centimentri, esce di pugno. Non sarà un problema con uno così. Invece la palla finisce in fondo al sacco. Shilton ammise di non aver visto subito il tocco di mano con cui Maratona segnò, perché di fronte al lampo, si chiudono gli occhi. Passato attraverso problemi finanziari dovuti al vizio del gioco e ad affari sbagliati, oggi Shilton si guadagna da vivere come conferenziere, dopo essere entrato nel guiness dei primati per aver giocato più di mille partite. Accanto a lui merita un posto Steve Hodge.

 

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La mano de dios. Nell’azione della ‘mano dei dios’, Hodge si trova a marcare il grande attaccante argentino Valdano. Non il massimo per un mediano. Maratona cerca il compagno, alzando la palla che s’impenna e arriva nella zona di Hodge. Una frazione di secondo per scrivere la storia. Basta un rinvio di quelli che chiamano alla ‘viva il parroco’, nel senso del gioco da oratorio, con la palla cacciata via a campanile. Hodge, invece, non azzecca il rinvio. Allunga nella direzione sbagliata, verso Maradona. Quello ha i piedi d’oro, ma sta volta usa la mano. Il buon Steve poteva cambiare il destino. Nessuno lo ricorderebbe più, il 51° minuto di quella partita. Invece è diventato storia.

Forse Hodge l’ha capito subito, tanto da chiedere a Maradona di scambiare la maglia con lui a fine partita. Quella maglia riposa adesso al Museo del Calcio della cittadina britannica di Preston. Tutto si può dire degli inglesi, tranne che non apprezzino la storia del calcio, anche quando gli è avversa. Della maglia di Hodge, invece, non si è saputo più nulla. Il vecchio mediano inglese, oggi, si diverte ad allenare i ragazzini, magari cominciando dai fondamentali. Il rinvio, per esempio.
In questa storia di sono altri attori non protagonisti. L’arbitro tunisino Ali Bin Nasser, che fu l’unico a non rendersi conto di quello che il mondo aveva visto in tempo reale. Assediato dai giocatori inglesi inferociti, indietreggiava insicuro, cercando con gli occhi un altro attore non protagonista di questa storia, il guardalinee bulgaro Bogdan Dotchev. Di Bin Nasser si sono perse le tracce, mentre il povero Bogdan, linciato da milioni di occhi in tutto il mondo, adesso si gode la pensione, dopo una seconda vita da ispettore di una compagnia di assicurazioni. Nel 2007, in un’intervista, ammise di aver visto che Maradona aveva segnato con la mano, ma di essere stato zittito dall’arbitro tunisino, a suo dire incapace di reggere la tensione di una partita così importante.

La guerra e il pallone. L’ultimo attore non protagonista, però, è il più importante. Anzi, attrice. La guerra delle Falkland/Malvinas, uno sparuto spruzzo di isole al largo delle coste argentine. Retaggio coloniale britannico, diventano il simbolo del revanscismo della dittatura dei generali di Buenos Aires. Meglio parlare delle isole rubate dalla perfida Albione, che delle migliaia di inermi cittadini finiti desaparecidos nelle tenaglie dei torturatori di regime. Il generale Galdieri ordina, tra marzo e aprile 1982, l’invasione delle isole e impone la bandiera argentina. Sua Maestà britannica e la Lady di Ferro Tatcher mandano le navi da guerra e a metà giugno riconquistano le isole, perdendo più di 250 uomini e uccidendo quasi 650 argentini. Maradona, tra i suoi mille talenti, aveva quello di sapere sempre cosa dire, anche quando la realtà non era una partita di calcio. Lo fece anche quella volta, prima caricando i compagni nello spogliatoio quel 22 giugno 1986, inneggiando alle Malvinas, come gli argentini chiamano l’arcipelago che per gli inglesi è quello delle Falkland.

Poi, a fine partita, di fronte alle accuse di tutto il mondo, se la cava così: “Come ho segnato? Un po’ con la testa di Maradona e un po’ con la mano di Dio”. A Londra e a Buenos Aires, evidentemente, non chiamano le cose allo stesso modo. Per gli inglesi è rimasta la ‘mano del Diavolo’. Diego cavalcò il sentimento nazionale argentino, riuscendo a strappare un sorriso anche a coloro che lo avevano condannato per la sua scarsa lealtà sportiva. Davide che sconfigge Golia, la ‘mano de dios’ che lava la violenza coloniale britannica. E la loro arroganza. Quando il calcio diventa meta linguaggio. Maradona, si sa, dell’autolesionismo ha fatto una costante. Al punto che, senza volerlo, la rete di mano ha finito per far rifulgere meno il secondo goal, che segnò al 55°, saltando come birilli mezza squadra inglese. Lo hanno votato ‘il goal del secolo’, ma queste sono valutazioni che restano nelle mani di Dio. Quello del calcio, s’intende.

 

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