La svizzera Judith Aregger è un’assistente sessuale dal 2009: ha frequentato un corso di formazione di 150 ore (da tremila euro) con un giorno di tirocinio. Racconta la sua esperienza e dice: “Servono norme condivise in tutta Europa”
di Ambra Notari, da Redattore Sociale
@AmbraMaria
1 luglio 2014 – “Faccio l’assistente sessuale dal 2009. Ho seguito un corso di formazione da 3mila euro di 150 ore, tantissima teoria e un giorno di tirocinio finale. Non ho la bacchetta magica, non risolvo i problemi schioccando le dita: seguo un percorso”. Judith Aregger è un’assistente sessuale e formatrice in corsi per l’assistenza sessuale in Svizzera. “Tutte le decisioni sono nelle mani del disabile, non ho mai forzato nessuno. Ogni giorno mi diverto, perché imparo tantissimo e, spero, insegno qualcosa a mia volta. Dopo 5 anni, le istituzioni mi conoscono benissimo, ho tanti beneficiari: con alcuni lavoro da anni, altri nel frattempo hanno trovato un partner”.
Secondo la definizione a oggi più accreditata, l’assistenza sessuale è una forma di accompagnamento erotico volta ad aiutare i disabili a scoprire la loro sessualità – intesa nel senso più ampio possibile – e il loro corpo in un percorso verso una maggiore autostima. In alcuni stati europei – in maniera diversa – è già realtà: Svizzera, Danimarca, Svezia, Germania, Austria, Olanda, Spagna e Francia. Una professionalità molto complessa: il suo riconoscimento, infatti, dipende dalle leggi vigenti in materia di prostituzione. Perché, spesso, lo scambio tra ‘beneficiario’ e assistente sessuale ricade nell’ambito delle normative che regolano la prostituzione, termine che abbraccia ogni forma di sesso in cambio di compensazione economica e che prevede un’intermediazione da parte di terzi.
“Così, nei Paesi con grandi restrizioni sulla prostituzione, l’assistenza sessuale è particolarmente difficile anche solo come tema da trattare, come in Italia. In quelli in cui la sessualità è riconosciuta come diritto della persona con disabilità, allora è possibile”, spiega Priscilla Berardi, medico psicoterapeuta e sessuologa. Capita che negli Stati dove l’assistenza sessuale non è prevista, ci siano dei sex workers con una particolare sensibilità – come in Inghilterra – o dei comitati creati ad hoc che si prendono la briga, e i rischi, in una chiave di ‘disobbedienza civile’ – come in Francia.
“Un’assistente sessuale deve dimenticare ogni idea della sessualità che ha. Completamente – racconta Judith Aregger – Le persone con disabilità fisiche, quelle con disabilità mentali, le persone autistiche, hanno bisogno di un percorso personalizzato”. Perché se con i disabili fisici per comunicare è sufficiente il linguaggio, con persone affette da altre forme di disabilità serve, invece, scoprire nuove forme di comunicazione, che si declinano da individuo a individuo: “Per esempio, nel caso di disabili psichici, si ha sempre a che fare con un sacco di persone, dai genitori allo staff medico o degli istituti che li accolgono”.
Ad alimentare la discussione – che negli ultimi 10 anni ha vissuto una grande accelerazione – una sfilza di critiche a cui, ciclicamente, gli esperti del settore sono chiamati a rispondere: si va dal potenziale sfruttamento del beneficiario e/o dell’assistente, al rischio dell’innamoramento da parte dei disabili (“Anche soffrire d’amore è un loro diritto”, commenta Aregger). Dal problema dell’accessibilità legato a prezzi e preferenze sessuali, all’appunto di alcuni movimenti di persone con disabilità che vedono nell’assistenza sessuale un’ulteriore forma di discriminazione (secondo loro, non sarebbe che un modo per lavarsi la coscienza e non fare interventi strutturali) e l’ennesimo modo per fare soldi a loro scapito. “Per tutti questi motivi, servirebbero criteri condivisi a livello europeo – chiede Aregger –, anche a livello di formazione che, per prima cosa, non dovrebbe essere elitaria ma permettere a tutti di candidarsi”.
La formazione è uno dei temi più dibattuti: tra le assistenti sessuali già in attività, ci sono ex prostitute, personale medico dalla particolare sensibilità, donne (soprattutto) e uomini che scelgono, liberamente, questo percorso. I percorsi di formazione hanno durata diversa negli Stati in cui sono previsti: tutti, però, accettano le iscrizioni solo dopo un percorso di selezione molto complesso. C’è chi mette limiti d’età – minimo 30 anni –, chi pone come conditio sine qua non la capacità di comunicare il lavoro ai propri cari, chi chiede come requisito un secondo lavoro, perché l’assistenza sessuale non diventi solo una forma di reddito.
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“Per questo i nostri corsi che partiranno in autunno saranno molto selettivi – annuncia provocatoriamente Maximiliano Ulivieri, fondatore del ‘Comitato per la promozione dell’assistenza sessuale in Italia –. Abbiamo ricevuto moltissime candidature, bilanciate da una mole di richieste: donne, uomini, genitori di figli disabili ci chiedono delle risposte”. Ulivieri, insieme con Sergio Lo Giudice, senatore bolognese in quota al Pd, ha presentato in Senato pochi mesi fa un disegno di legge per la sessualità assistita delle persone disabili, firmato in tutto da 10 senatori (di Pd, Sel e Gruppo misto): “I corsi partiranno anche se ancora non ci sarà una legge. A lavoro finito diremo: “Abbiamo 30 assistenti formate: che facciamo? Spero che Bologna sia la prima città a darmi una mano. Perché anche le persone con disabilità siano messe nelle condizioni di vivere la propria sessualità in maniera soddisfacente per entrambi i partner”. Secondo Ulivieri, l’assistente sociale sarebbe chiamata a intervenire empaticamente nelle situazioni complesse, che a un disagio fisico o mentale sommano un disagio morale e psicologico, non necessariamente nelle situazioni di gravi disabilità: “Quello che conta non è la disabilità in sé, ma la storia. Per questo, un’assistente sociale sarà una figura altamente professionale in grado di aiutare anche le coppie che hanno perso, per motivi di salute, la propria intimità”. “Sì, mi è già successo – aggiunge Judith Aregger – ho lavorato con una coppia, entrambi affetti da grave spasticità”.
L’occasione per affrontare il tema è stato l’incontro ‘Assistenza sessuale: in Italia è possibile?’ organizzato a Bologna nei giorni scorsi a Palazzo d’Accursio patrocinato da Provincia e Comune nell’ambito delle iniziative del ‘Bologna Pride 2014’, la grande manifestazione dell’orgoglio gay che scende in piazza il 28 giugno: “Siamo orgogliosi di essere ospitati nel calendario del Pride – commenta Priscilla Berardi – perché noi disabili, come gli omosessuali, i bisessuali, i transessuali siamo vittime di pregiudizi e ignoranza. Tutti questi mondi, poi, ovviamente si intrecciano e ci chiamano ad affrontare nuove questioni, perché la domanda di assistenza sessuale da parte di omosessuali o transessuali disabili è in crescita, dopo anni di inibizioni”.
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