Bloccati al confine

Tre siriani palestinesi fuggiti dal campo profughi di Yarmouk sono bloccati da 60 giorni in una no man’s land al confine col Libano

di Alessandra Fava
@alefavapress

 

2 luglio 2014 – Tre palestinesi/siriani sono bloccati alla frontiera col Libano senza poter entrare nel Paese dei cedri e neppure tornare indietro, in Siria. La loro storia sta rimbalzando da un sito all’altro, da un blog a una newsletter del Medio oriente. Tutto perché a differenza di altri (milioni di altri) hanno deciso di non pagare i trafficanti che facilmente, con qualche astuzia, li potrebbero portare dove vogliono pagando.

Al confine ci stanno da quasi 60 giorni. Sono fuggiti dal campo profughi palestinese di Yarmouk, ormai parte alla periferia di Damasco, bombardato e ridotto alla fame. Basta vedere questo video delle Nazioni Unite quando gli operatori riuscirono a febbraio a portare del cibo alla gente assediata ed affamata. Tra le frasi del report: ”Signora come si chiama?”. ”Mi chiamo Prigione”. Sembra un film di Ibsen ed è la realtà.

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Perciò è chiaro perché i tre giovani sono fuggiti. Uno di loro, Adham Mawed, ingegnere, riassume così la situazione: “Il nostro crimine è essere palestinesi. Ovunque andiamo non c’è posto per noi”. Mawed in realtà è stato arrestato in Libano e mandato alla frontiera mentre tentava di fuggire da Beirut verso la Libia con un visto ottenuto all’ambasciata libica in Egitto. Lo hanno pizzicato insieme a una trentina di altri palestinesi. In Siria non vuole andare perché non vuole combattere per nessuno dei due fronti.

Così i tre, liberi, ma ”prigionieri”, si sono accampati in un casotto per i lavoratori edili a Masnaa Crossing. Proprio come il protagonista del film Al Hudoud, (“la frontiera” o “le frontiere”, 1987), che avendo perduto il passaporto tra Est-stan e Ovest-stan (Paesi immaginari ma così simili a quelli di cui stiamo parlando) viene trattenuto per anni al confine.

E come Abdel Wadud, interpretato dall’attore Duraid Lahham che è un po’ considerato il Charlie Chaplin del Medio Oriente, alla fine anche i nostri protagonisti ma in carne ed ossa, se la cavano. Quello allevava capre, aveva messo su una tavola calda al confine e serviva latte e uova ai viaggiatori in transito, loro mandano mail all’Ambasciata palestinese in Libano e all’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unrwa), raccolgono l’acqua piovana e fascine per accendere il fuoco.

Hussam al-Yatim, 36 anni, ha moglie e tre figli in Libano a Jiyeh e col fratello Mustafa al-Yatim, 21 anni, racconta di aver contattato un sacco di volte l’ambasciata palestinese in Siria perché tutti hanno un documento siriano. L’ambasciata alla fine ha mandato cento dollari e suggerito di contattare le Nazioni Unite. Le Nazioni Unite hanno detto di ricontattare l’ambasciata che non ha trovato di meglio che suggerire di pagare il pedaggio a qualche trafficante.

Come dice il personaggio del film: ”In una sola madre terra non c’è bisogno di passaporti” e poi ”le bestie passano la frontiera indisturbate. Anche io vorrei fare lo stesso ma non me lo permettono”.

“Non siamo tutti fratelli?”. ”Questa dove l’hai sentita?”, chiede il soldato. ”Alla radio”.

 

Altre fonti:

http://uprootedpalestinians.blogspot.it/2014/06/palestinians-deported-to-no-mans-land.html

http://english.al-akhbar.com/content/palestinians-deported-no-mans-land-between-syria-and-lebanon

http://www.hrw.org/news/2014/05/05/lebanon-palestinians-barred-sent-syria

 

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