Una storia sbagliata

Intervista allo storico israeliano Ilan Pappé

di Christian Elia
@eliachr

video di Lemnaour Ahime

 

4 luglio 2014 – Torino, Fiera del Libro 2009. Stand di Fazi editore, che pubblica La pulizia etnica in Palestina, di Ilan Pappé.

Nato in Israele nel 1954, è professore di storia all’Università di Exter in Inghilterra. Pappé appartiene alla corrente dei ‘New Historians’ istraeliani ed ha un punto di vista critico sulla storia di Israele.

Tra le tesi sostenute da Pappé, c’è la difesa delle teorie palestinesi sugli eventi della guerra del 1948; in particolare Pappé sostiene che i palestinesi furono intenzionalmente espulsi da Yishuv e che già negli anni Trenta la leadership del futuro stato di Israele aveva ideato e programmato un piano di pulizia etnica della Palestina.

In Italia sono stati pubblicati Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli (Einaudi, 2005) La pulizia etnica in Palestina (Fazi, 2008) e il recente Israele/Palestina. La retorica della coesistenza (nottetempo, 2011)

Riproponiamo oggi l’intervista che, con Lemnaouar Ahmine, realizzammo nel 2009 per PeaceReporter allo storico israeliano. Lo facciamo in giorni dolorosi, quando la violenza del conflitto in Palestina è su tutti i giornali.

 

 

 

Già, perché la violenza dell’occupazione esiste da quasi 70 anni, ma è ormai scivolata via da giornali e televisioni, come se fosse diventata normale. La violenza, c’è ogni giorno. Ma oggi, dopo il rapimento e l’omicidio di tre giovani coloni, è tornata in home page.

A questo atto di violenza, è seguita una brutale punizione di massa della popolazione civile palestinese, che rende ancora più dura una vita sotto occupazione. Un adolescente palestinese è stato rapito e linciato in un clima di odio che genera mostri come un gruppo facebook che raccoglie in poche ore decine di migliaia di adesioni e si chiama ‘Ammazza gli arabi’.

Ecco, riproponiamo questa intervista per riflettere. Gesto difficile quando è altro l’urlo dell’odio, ma necessario. Pappé spiega la formazione che ricevono gli adolescenti in una terra stretta, dove rischiano di parlare a un vicino arabo solo durante le azioni militari.

Per riflettere su come una società militarizzata sta generando un muro (fisico e immateriale allo stesso tempo) verso l’altro, l’arabo, il nemico. Dove un gesto scellerato viene addebitato a un popolo intero e, come ai tempi più cupi del genere umano, deve essere lavato nel sangue.

E’ da una storia condivisa che bisogna ripartire, da una storia scevra da letture posticcie e politiche, da manipolazioni a fini ideologici. Da quegli adolescenti che pagano questo conflitto, nelle carceri israeliane, o nel clima di odio delle colonie. Ragazzi cui viene insegnato l’odio, che poi diventano vittime. O carnefici.

 

 

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