Il Banco Espirito Santo, primo istituto del Paese, preoccupa i mercati mondiali, nonostante Cristiano Ronaldo
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-20-alle-18.34.04.png[/author_image] [author_info]di Marcello Sacco, da Lisbona, @MarcelloSacco1. Nato a Lecce, vive da anni a Lisbona, dove lavora come professore, traduttore e giornalista freelance. La sua pubblicazione più recente è “Salazar. Ascesa e caduta di un dittatore tecnico” (Besa 2014)[/author_info] [/author]
14 luglio 2014 – Quando la tua nazionale viene estromessa miseramente da un Mondiale di calcio, ma gli spot pubblicitari in Tv, con i loro jingle allegri e gli slogan traboccanti ottimismo, continuano a martellare ancora per dei giorni, come da contratto, l’effetto è sempre un po’ grottesco.
Per i portoghesi che, oltre alle partite, guardano i telegiornali, sarà doppiamente grottesco vedere ora gli spot con Cristiano Ronaldo, testimonial della più grande banca privata nazionale. Si tratta di quel Banco Espírito Santo che giovedì 10 luglio ha trascinato agli inferi i titoli di borsa suoi e di un intero Paese, dopo aver perso 600 milioni in quattro ore e seminato il panico nel resto d’Europa e fino a Tokyo, città da dove potrebbero giungere nuove brutte sorprese, visto che la banca Nomura aveva partecipato alla recente ricapitalizzazione del gruppo con un prestito da 165 milioni, coperto dalla garanzia di un pacchetto di azioni (5%) che in questo momento stanno colando a picco.
I motivi del tracollo sono collegati al fallimento tecnico della ESI (Espírito Santo International), la holding con sede in Lussemburgo che detiene un quarto del capitale dell’omonimo istituto bancario e la cui crisi di liquidità potrebbe diventare contagiosa. Ma mentre il rating continua a scendere sotto il livello spazzatura, governo e Banco de Portugal ribadiscono che la banca è solida, sebbene un po’ esposta, e che i risparmiatori non hanno nulla da temere.
Comprensibilmente si cerca di evitare la folle corsa al prelievo, sperando di non addossare il salvataggio di un’altra banca privata allo Stato, come nel 2008, quando fallì il più piccolo BPN (Banco Português de Negócios); lasciò ai contribuenti portoghesi un gruzzoletto di titoli tossici e qualche decina di Miró da mettere all’asta.
Non è affatto improbabile che, anche in questo caso, il governo intervenga con i fondi della troika ancora disponibili per salvare il salvabile di un gruppo che aveva mantenuto una secolare gestione familiare e che, al contrario degli altri grossi gruppi bancari nazionali, si era sdegnosamente rifiutato di ricorrere alle recenti linee di credito statali.
Per capire un po’ come vanno le cose senza risalire a Adamo ed Eva, fermiamoci almeno ai bisnonni di quest’unica dinastia di finanzieri portoghesi, che ininterrottamente dalla seconda metà dell’800 – sopravvivendo pure alle nazionalizzazioni della Rivoluzione dei garofani – ha avuto un ruolo cardine nell’economia nazionale.
Cominciarono vendendo biglietti della lotteria, poi titoli di credito, ma il grande salto di qualità lo diedero durante l’ultima guerra mondiale, quando Ricardo Espírito Santo, il banchiere di Salazar, faceva da garante nelle transazioni con Hitler in oro sottratto alle casseforti (e alle dentiere) dei cittadini spediti ad Auschwitz. Un peccato che quasi tutti i grandi capitalisti dei Paesi con un passato fascista e collaborazionista hanno dovuto smacchiare con molto olio di gomito e che tuttavia non ha impedito al BES di essere proficuamente presente in Israele, per esempio, nel settore dei grandi impianti di dissalazione dell’acqua marina.
Comunque, in Portogallo, il gruppo è chiacchierato da tempo, per altri motivi. Nel 2006 il giudice Baltazar Garzón fece perquisire i loro uffici di Madrid per sospetto riciclaggio. L’operazione fu archiviata tre anni dopo, ma lo Stato spagnolo li ha multati, più recentemente, per infrazione delle stesse norme antiriciclaggio. Nello stesso periodo, e per identici motivi, la magistratura portoghese indagava la filiale angolana. Filiale da cui, in parallelo alle voci degli ultimi mesi sulle difficoltà della holding lussemburghese, giungeva la notizia della misteriosa scomparsa di 5,7 miliardi di dollari, ossia l’80% dei crediti concessi senza garanzie e, in certi casi, senza alcuna registrazione contabile.
L’ammanco è stato nel frattempo generosamente coperto da una garanzia del governo angolano (a buon rendere), ma il buco potrebbe allargarsi e diventare la voragine che tutto inghiotte. In questa giostra lusofona non poteva mancare il Brasile, dove i giudici hanno voluto sentire, come testimone, l’ora dimissionario presidente Ricardo Salgado per lo scandalo del 2005 che i brasiliani ribattezzarono Mensalão, ossia l’acquisto, da parte di uomini dell’esecutivo di Lula, del consenso di alcuni parlamentari più malleabili. Ma il BES è anche player di svariate partite giocate in casa, per esempio quella della fondamentale acquisizione, per la Marina militare lusitana, di due sommergibili tedeschi, operazione poi finita sotto inchiesta più in Germania che in Portogallo (ne abbiamo parlato qui).
Il fatto è che banche come il BES sono tra quei luoghi in cui, da sempre, i corridoi della politica e quelli della finanza si incrociano fino ad aggrovigliarsi. Si veda il caso di Manuel Pinho, l’economista socialista che nel 2006 aveva addirittura previsto la fine della crisi economica. Alto dirigente BES, poi ministro del governo Sócrates, poi tornato all’ovile come vicepresidente della holding BES Africa, Pinho fa certo parte di quel pugno di esecutivi che adesso dovranno fare mestamente le valigie. Pare stia già negoziando una modesta liquidazione da 3,5 milioni di euro. Un sicuro segnale di ripresa economica in famiglia.
I nuovi top manager, invece, sono Vítor Bento e João Moreira Rato, entrambi targati Psd (partito di maggioranza), entrambi provenienti da istituti preposti a gestire il debito pubblico, quindi a trattare con banche private in nome dello Stato (alla faccia del conflitto d’interessi).
In particolare Vítor Bento, che dovrebbe insediarsi questa settimana come nuovo presidente della banca, è uno di quei personaggi schivi, finché non assurgono agli onori delle cronache appena aprono bocca. Noto come “economista filosofo” (grazie a un master in filosofia), fra le sue massime da antologia c’è l’elogio di Cristiano Ronaldo (i conti, a loro modo, tornano), additato come esempio perché, fin da ragazzino, si allenava a battere le punizioni con dei pesi legati alle gambe, mentre la generalità dei portoghesi mollaccioni viveva al di sopra delle proprie possibilità. Tutte parole d’ordine che non servono a calmare i mercati quando tira aria di tempesta, ma piacciono molto alla politica quando si prepara a salvare l’ennesimo naufrago di lusso.
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