A luglio, si scrive Novi Sad ma si legge Exit Festival. Dalla cittadina serba, il racconto della 14esima edizione di quello che è stato votato come ‘Best Major European festival’
di Patrizia Riso
19 luglio 2014 – A luglio, si scrive Novi Sad ma si legge Exit Festival. Se passate dal capoluogo della Vojvodina ad inizio estate non potrete ignorare l’esistenza di quello che nel 2014 è stato votato come ‘Best Major European festival’. Sarà il fascino della location, sarà che in Serbia si spende poco, sarà che la gente Novi Sad è accogliente, ma l’Exit si è affermato come una macchina commerciale tanto potente da riempire ogni anno la città di stranieri provenienti da tutta Europa. Facciamo un passo indietro.
Il festival è nato nel 2000, dopo la caduta del socialismo yugoslavo, dopo la fine di un conflitto composto da diversi conflitti e dopo che il territorio serbo è stato bombardato dalla NATO nel 1999, durante la guerra in Kosovo. L’anno 2000 segna soprattutto l’uscita di scena di Slobodan Milošević dalla scena politica. Serviva una via d’uscita, una exit strategy. Novi Sad è nota in Serbia per la sua vitalità notturna e culturale, per le belle ragazze, per i caffè sempre aperti e per la sua Fortezza – la Tvrđava – che guarda la città dal paese vicino: Petrovaradin. Quello che è nato come un progetto di riscatto politico, culturale e giovanile, è diventato l’evento musicale internazionale più frequentato del Paese.
Qualche mese prima dell’inizio del festival, nel chiedere ai miei amici serbi un parere, mi sono sentita rispondere per lo più la stessa cosa. “Le prime edizioni del festival sono state magnifiche per me” – mi ha detto per esempio la mia amica Dragana – “l’Exit era davvero la nostra finestra sul mondo. Ora è diverso, la musica è più commerciale e l’atmosfera è diversa”.
Arriva l’11 luglio 2014, per me il primo giorno di EXIT. I miei gusti musicali non sembrano coincidere perfettamente con i nomi presenti sul programma del festival; in altre parole non conoscevo praticamente nessuna delle grandi star. All’entrata della grande Fortezza non posso che confermare l’impressione iniziale: l’Exit è semplicemente un festival di musica, frequentato anche dai giovani serbi ma con una larghissima presenza internazionale. C’è chi non si perde un giorno e c’è chi supera i severi controlli all’ingresso solo per un concerto in particolare, pagando l’ingresso singolo giornaliero. Dentro la Fortezza di Petrovaradin c’è un mondo fatto di bancomat montati ad hoc, di hot dog e di ogni altra forma possibile di street food, di chioschi dove puoi pagare le tue bibite solo con la scheda elettronica ufficiale ricaricabile del Festival. La scaletta del main stage, il palco principale, sembra essere l’attrazione maggiore grazie a nomi forti come Gloria Gaynor, Rudimental, Damon Albarn, Skrillex e Hurts.
La pioggia battente dell’11 luglio non ferma – comprensibilmente – l’utenza festaiola e pagante del festival. Mentre si esibiscono i Rudimental, siamo tutti immersi nel fango, ma non importa a nessuno. Al termine del concerto, avanzando in quella che la pioggia delle ore precedenti ha trasformato in una palude, non posso non pensare che quasi due mesi fa in altre zone del Paese, questo stesso fango ha provocato la morte di più di cinquanta persone e distrutto interi paesi. Si tratta evidentemente di pensieri poco adatti al clima goliardico che svaniscono quando mi immergo nell’atmosfera del palco reggae dove vige un solo imperativo categorico “positive…vibrations!”. Anche nello stage latino l’atmosfera è molto rilassata e mi ritrovo a ballare sulle note dei Jeuns, gruppo serbo che canta in francese ritmi latino americani.
L’ultima sera vengo trascinata alla Dance Arena, un’enorme discoteca elettronica a cielo aperto. Sono colpita dalla maestosità del palco e dal sistema di luci che perfetto e ipnotico in tutti i palchi, cosi come l’audio. Eppure la maggioranza dei serbi che incontro continua a parlare delle passate edizioni con un velo di nostalgia. In parte rivolta alla qualità degli ospiti musicali in parte a quello che il festival rappresentava nelle sue prime edizioni: una svolta giovanile e politica che ha scelto la musica come strumento per dimostrare che la Serbia non doveva necessariamente essere vista come un Paese bellicoso, ma un posto dove è possibile viaggiare e divertirsi.
Mentre lascio quello che per tre giorni mi è sembrato un vero e proprio labirinto musicale internazionale, penso che, sebbene molti giovani partecipanti non sapranno spiegare chi fosse Milošević o perché un gruppo di giovani serbi abbia sentito il bisogno di creare una via d’uscita alternativa, non si dovrebbe pretendere che un evento musicale resti uguale a se stesso o che rimanga ancorato all’immagine schematica che possiamo avere o meno di ogni Paese che è stato teatro di un conflitto. Il contesto politico e sociale in Serbia è cambiato rapidamente, la guerra è finita e anche se i problemi non mancano – come nel resto d’Europa – i giovani serbi, croati e bosniaci probabilmente, ballano e ascoltano la stessa musica. L’Exit è un festival internazionale, i ragazzi ci vanno per divertirsi, ballare e perché no, ubriacarsi. Se è un bene ricordare il contesto nel quale il Festival è nato, eventuali moralismi e pretese di impegno politico andrebbero invece messi da parte per godersi qualche giorno di musica e puro divertimento, con vista sul Danubio.
*Le foto sono tratte dal profilo Facebook dell’organizzazione dell’EXIT Festival
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