Raccontando delle persone, delle vite, delle giornate di quelli che la guerra la pagano
di Q Code mag
@QcodeMag
23 luglio 2014 – L’ennesima punizione collettiva alla quale viene sottoposta la popolazione civile di Gaza, come tutte le altre, non porterà a nessun risultato. Sempre che il risultato non sia quello di nuovi lutti, di nuove distruzioni, di un odio che non potrà che crescere, ingrossando le fila di coloro che non hanno più alcuna fiducia in una soluzione giusta del conflitto.
Il governo israeliano, attraverso il suo esercito, ancora una volta scatena una pioggia di fuoco in risposta al lancio di razzi di qualche gruppo, come se ne fossero responsabili i civili di tutta la Striscia di Gaza. Che dieci anni fa, mentre festeggiavano la fine di un’occupazione, si sono resi conto di essere finiti reclusi in una prigione a cielo aperto. Cielo dal quale, a cicli alterni, piovono bombe.
Questa raccolta di pensieri (in quindici righe) vuole essere un racconto ‘altro’ di Gaza, reso da coloro che hanno avuto per i motivi più diversi la fortuna di incontrare l’umanità di Gaza, quella che non viene mai raccontata, da media che si ricordano di Gaza solo quando c’è un attacco, come se la vita a Gaza non fosse un inferno quotidiano. Ma anche nell’inferno la vita esiste e resiste, sempre, ogni giorno. Ed è questa resistenza di umanità che questa raccolta di voci vuole raccontare.
Perché a un popolo si può togliere la libertà, ma non gli si può togliere l’umanità.
Se siete mai stati a Gaza, mandateci le vostre quindici righe a: redazione@qcodemag.it
Rosella Bonarrigo, cooperante Overseas-onlus
La prima volta che sono entrata a Gaza era una mattina assolata di metà febbraio del 2009, a poco dalla fine della terrificante e sanguinosa Cast Lead. Cancelli, tornelli, il muro e la sua porta di ferro, entro in prigione. No, sto entrando a casa di qualcuno. L’ingresso della casa è sabbione giallo, dune e macerie sparse, edifici ripiegati, la strada bianca (non c’era ancora il tunnel-grata) riflette la luce e mescola detriti e uomini e bambini che su carretti instabili caricano il ferro delle murature e mattoni da riciclare, ogni tanto qualche sparo, ogni tanto qualche morto.
Da un lato una distesa di terra e, come in un grande giardino, si scorge il muro che lo delimita. Vengo da fuori, ed entro dentro, una sensazione che perdurerà anche nei periodi in cui a Gaza avevo una casa; fuori Ramallah, Gerusalemme, Mordechai, il parcheggio poi la terra di mezzo, il terminal di Erez, il non-luogo tra follia e idiozia. Dentro, palazzi persone, fiumi di bambini e bambine in divisa scolastica. A breve scoprirò che Gaza ha l’età media di Disneyland… fanno la guerra ai bambini, e a quelli che erano bambini durante la prima e la seconda Intifada, fanno la guerra ai cuccioli del XXI secolo.
Il trauma profondo degli abitanti della casa lo si avverte da subito, ma è nelle parole raccontate a mesi e anni di distanza che ne colgo il senso profondo, che tocco, odoro e vedo quell’umanità che Vittorio ha raccontato (perché vissuta!) così bene. Gaza sono i molti uomini e donne che ho incontrato sui campi della Buffer Zone, che sotto tettoie improvvisate offrendo un té mi hanno insegnato cos’è Resistenza, una declinazione significativa della parola, resistere per vivere, nessuna fuga, nessuna possibilità di poter orientare autonomamente la propria vita, l’orizzonte è a 300 metri, pattugliato. Dentro casa il padrone è uno tosto: amarlo, sopportarlo, odiarlo, consegnargli la speranza o accusarlo cambia poco. Il padrone ha amici della porta accanto molto influenti. A casa si tenta di vivere e progettare un breve futuro.
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