L’Europa che conta

In queste settimane ricorre il 70esimo anniversario di molte stragi nazi-fasciste. Lo spirito dell’Europa unita non è nei processi e nelle strette di mano istituzionali, ma nei progetti che i familiari delle vittime, le comunità locali e la cultura realizzano in nome della costruzione di una Comunità sulla memoria condivisa

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/03/Sara.jpeg[/author_image] [author_info]di Sara Lucaroni, @LucaroniS. Nata ad Arezzo nel 1980, giornalista professionista, si è laureata con una tesi sulla metafisica cartesiana. Si occupa di sociale, lavoro, politica, storie di sport. Ha collaborato con Italia7, TV2000 e Globalist. È coautrice di un romanzo sulla disabilità e autrice di due documentari: sull’immigrazione, “Chi siamo noi” e sulla Resistenza, “Diari di Guerra”.[/author_info] [/author]

25 luglio 2014 – Prima la visita del ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, la più alta carica tedesca mai salita a Civitella nel giorno della commemorazione dell’eccidio di 70 anni fa. Poi, fuori dal clamore e dalla commozione pubblica, il primo incontro tra i discendenti degli autori della strage e i familiari delle vittime: “Noi non c’eravamo, noi dobbiamo essere amici”. L’ha voluto il comitato “Civitella ricorda”, guidato dalla signora Ida Balò. Anche suo padre è morto sotto i colpi dei fucili il 29 giugno 1944, nel paese poi dato alle fiamme. 244 morti, molti uccisi in chiesa con il parroco, insieme agli abitanti delle frazioni di Cornia e San Pancrazio.

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E’ in luoghi come questo, in cui scomparve in un giorno un’intera generazione, e nella vicina Vallucciole, Fivizzano, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, teatri di alcune tra le più efferate stragi nazi-faciste, che si sperimenta la possibilità di un Europa più identità comune che sistema economico unificato. Modello di coesione prima che di stabilità. A questo lavorano le comunità locali, i comitati, i sopravvissuti, i testimoni prima che i ministeri e i governi, con la costruzione lenta ma concreta di una cultura non solo italo-tedesca, ma europea della memoria.

Una ferita sempre aperta. Berlino si è sempre assunta la responsabilità storica dei fatti, inchinandosi più volte alla memoria delle vittime dei crimini di guerra. E non ha mancato di prendere parte a iniziative o sostenere progetti, come è accaduto di recente con l’istituzione di una commissione di storici italo-tedesca impegnata a ricostruire cronologie e avvenimenti. All’esame, anche forme di riparazione per le stragi, la realizzazione di un Atlante che le mappi, proposte di legge. Ma la questione che rende complesso il risanamento delle ferite e poco incisivo il ruolo delle istituzioni per questo compito è un’altra. Gli eccidi nella primavera e nell’estate di 70 anni fa, quando l’esercito tedesco in ritirata battagliava con rappresaglie e saccheggi l’Italia dei partigiani e della guerra perduta, non solo hanno avuto una giustizia tardiva, ma gli ergastoli nei 18 processi (una trentina le inchieste in totale) agli autori dei crimini inflitti dalla giustizia italiana, solo in pochi casi esemplari hanno avuto un’esecuzione penale.

Giustizia tardiva, processi e ricorsi. Negli anni ’50 le relazioni internazionali da ricostruire sancirono una sorta di accordo di non belligeranza tra Italia e Germania sul tema eccidi. A questo, secondo altri, si sommerebbe la presunta immunità riconosciuta a nazisti e fascisti per i legami e i compiti svolti con i servizi segreti e anche la protezione accordata ai soldati italiani a loro volta autori di crimini di guerra in Jugoslavia, Albania e Grecia. Un’apposita commissione parlamentare ha indagato senza esito sul perché dell’archiviazione provvisoria di 695 fascicoli di crimini di guerra, dimenticati fino al 1994, quando il giudice Antonio Intelisano li scoprì in un armadio degli uffici giudiziari militari. Cercava le prove per incriminare Eric Priebke, accusato della strage delle Ardeatine, e quel ritrovamento ha dato una svolta alla stagione di processi. Dopo quello al capitano delle SS e ad Herbert Kappler a Roma, a Theodor Saevecke per l’eccidio di piazzale Loreto a Milano, Friedrich Engel per le stragi liguri e Michael Seifert per le morti a Bolzano, la procure militari competenti hanno aperto i processi per Certosa di Farneta, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Vallucciole e molti altri. Ma l’impunità per i condannati, in contumacia, è dovuta alle estradizioni non concesse, alle mancate esecuzioni dei mandati di arresto europeo, ai ricorsi, qualche assoluzione. E alla falsa morale sull’età di questi ex militari, laddove non si parli esplicitamente di “incapacità dell’imputato” o alla sua morte durante il procedimento. Per Stazzema, il tribunale di Stoccarda nel 2012 ha rigettato la condanna di 10 imputati, ex funzionari delle SS, per “insufficienza di prove”. Il 21 ottobre 2008 la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha condannato la Germania e l’ex sergente Max Josef Milde ( ergastolo come esecutore della strage) a risarcire nove familiari delle vittime dell’eccidio di Civitella con un milione di euro. Una sentenza storica, ribaltata dal ricorso della Germania alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, che il 3 febbraio 2012 ha stabilito l’impossibilità di imputare uno stato sovrano, la cui immunità è garantita dal diritto internazionale.

Il cimitero di Marzabotto

Il cimitero di Marzabotto

Un’Europa di uomini prima che di istituzioni. Il dolore rimane. Nessuna sentenza lo cancella. A sanare e ricostruire lavorano incontri, contatti, gemellaggi, la memoria comune che nasce sulla consapevolezza, sui “legami umani”. Uno dei nipoti del “boia di Falzano”, Josef Eduard Scheungraber, il primo ad essere condannato sia dalla giustizia italiana che tedesca, ha rinnegato la sua famiglia e sul luogo dell’eccidio ha voluto incontrare l’unico superstite della strage, la cui testimonianza è stata decisiva per il processo. In provincia di Siena, il regista tedesco e direttore del St. Pauli Theater di Amburgo Ulrich Waller, ha portato in scena al teatro Alfieri di Castelnuovo Berardenga lo spettacolo “Albicocche Rosse”, in tedesco “Rote Aprikosen”, di cui è co-regista insieme a Matteo Marsan. Denominato “progetto teatrale italo-tedesco per il 70° anniversario della strage tedesca a San Gusmè”, mescola attori professionisti e popolazione locale, per ricordare l’eccidio di 8 civili, di cui tre bambini. Un anno fa l’Associazione familiari delle vittime di Monte Sole (Marzabotto), in una visita in Baviera, ha raccontato l’eccidio ai ragazzi tedeschi, in tutte le scuole. Sant’Anna in Stazzema, tra le altre iniziative, ospita ogni anno il Campus di Educazione alla Pace, per approfondire i temi della non violenza e la solidarietà internazionale, in collaborazione con l’Università di Pisa.

Capita che a Civitella i visitatori e i turisti si avventurino per caso. Scoprono solo sul posto cosa nasconde davvero la bellezza della rocca e del borgo silenzioso. La Sala della memoria, sotto i portici, aperta tutto il giorno, custodisce documenti, foto, oggetti e tracce di quel 29 giugno, quando tre commandi tedeschi uccisero con un colpo alla nuca, per rappresaglia, tutti gli uomini del paese. Nelle teche, ci sono vestiti, fazzoletti, un pacchetto di sigarette macchiato di sangue. Uno di loro l’aveva in tasca quel giovedì mattina. Nel diario delle visite, i messaggi di molti cittadini tedeschi che chiedono scusa, che si vergognano. Che lì hanno portato i loro figli. Niente retorica o ipocrisia. E’ l’Europa che conta, quella che si sente comunità con un’unica storia e un unico destino.

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