Chiude il CIE di Bologna

Da oggi comincia una nuova battaglia di civiltà: adibito a CARA il CIE di Bologna

tratto da MeltingPot

29 luglio 2014 – Smantellate le sbarre del CIE di Bologna che nottetempo viene trasformato in struttura di accoglienza per richiedenti asilo, un CARA o forse solo un “hub” per il transito di migranti. Materassi, libri nella sala ricreativa, pareti ripulite, ma la struttura è quella di un bunker di massima sicurezza. Duecentoquattro le persone portate da Salerno e collocate nella struttura del CIE in disuso da oltre un anno, tra loro anche sedici donne e bambini.

Insieme alle cronache dai media locali, pubblichiamo il comunicato stampa del centro sociale TPO, uno degli attori cittadini ad aver promosso la battaglia contro i centri di detenzione amministrativa dal 1998.

Esultiamo per la chiusura dell’ex caserma Chiarini come CIE. E’ il risultato di una lotta – determinata e radicale – contro i lager etnici che come movimenti abbiamo cominciato nel 1998, quando la legge Turco-Napolitano li istituì in Italia. Si chiude finalmente una pagina nera di questi territori, fatta di ribellioni soffocate con la violenza e con gli abusi dietro le sbarre di un carcere di massima sicurezza, e anche di denunce e processi ancora in corso contro attivisti/e.

 

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Ma la battaglia di civiltà non si conclude, e anzi questa vittoria mostra semmai che il governo repressivo e dissuadente dei movimenti migratori si è spostato su un altro terreno, quello dell’accoglienza, dispositivo attorno al quale oggi si sviluppano inedite forme di selezione, differenziazione e controllo delle vite delle persone, di cui l’accoppiamento umanitario-militare rappresentato da Mare Nostrum fornisce interessanti chiavi di analisi.

La conversione della struttura di via Mattei da luogo di segregazione a luogo di “accoglienza” risponde all’esigenza degli Stati di dover collocare temporaneamente le migliaia di persone che ogni giorno riparano sul suolo nazionale. Per loro la legge Bossi-Fini non ha alcuna funzione, poiché nonostante tutto vige l’obbligo sancito dalla Convenzione di Ginevra di proteggerli in quanto fuggono da conflitti, guerre, persecuzioni, peraltro in continua crescita dato il perdurare di conflitti geopolitici e l’esploderne di nuovi.


Ma dopo il fallimento dell’Emergenza Nord Africa del 2011, e dopo questo primo semestre in cui abbiamo osservato la fuga a pagamento dei rifugiati anche dall’Italia (bloccati nel paese di primo arrivo per colpa della convenzione di Dublino) è tempo di ricollocare il terreno dell’analisi e riposizionare il tema politico, sociale, umano, di cosa per noi significa “accoglienza degna” e diritto alla mobilità per tutti nello spazio europeo.

Le circa 70mila persone arrivate da gennaio chiamano le istituzioni e tutti noi ad una nuova responsabilità, quella di trasformare le politiche dell’emergenza disumanizzanti e assistenziali finora attuate e tipiche del campo-profughi, quali Cara e simili, in una risposta immediata alla domanda di futuro e di democrazia di chi fugge dalla Siria, dalla Somalia, dall’Eritrea, dall’Etiopia (e presto purtroppo si moltiplicheranno gli esodi forzati da Iraq e Palestina). 
Di fronte a tutto questo non servono parcheggi per i profughi, ma progetti di cittadinanza e di inclusione fin dal primo arrivo.

Una città intera si è impegnata per la chiusura definitiva del CIE e di tutti i CIE. 
Oggi quella stessa tensione va investita per garantire ai migranti la libertà di scelta, tramite l’apertura di percorsi di arrivo in sicurezza e il diritto di soggiorno nello spazio europeo, ma costruendo al contempo le condizioni affinché chi arriva a Bologna, come in altre città italiane, possa scegliere di restarvi. E come segnale concreto di promozione dei percorsi di accoglienza degna e di inclusione autogestita servirebbe il rifiuto di applicare l’articolo 5 del Piano Casa, contro cui si è espresso anche l’UNHCR, e imporre che i nuovi arrivati siano da subito alloggiati in appartamenti e case anziché ex caserme, capannoni, alberghi.

Che inizi subito una nuova e urgente battaglia di civiltà dopo la chiusura del CIE: declinare “accoglienza” in cittadinanza, diritti, dignità, futuro. Contro miseria, sfruttamento, guerra.

 

 

 

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