Otegi, uomo di pace. In prigione

Degli innocenti hanno scontato già quasi cinque anni in carcere per aver spalancato la porta a una soluzione pacifica del conflitto basco

di Angelo Miotto
@angelomiotto

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13 ottobre 2009. L’operazione è scattata alle 18.30 di martedì. Voluta e istruita dal giudice Baltasar Garzón, che ha inviato la polizia spagnola nei Paesi baschi per arrestare quella che secondo le veline distribuite alla stampa con operazione ancora in corso, sarebbe la nuova direzione della nuova Batasuna. In manette sono finiti Arnaldo Otegi, il principale interlocutore delll’ultimo processo di pace, Rafa Díez, importante dirigente del sindacato Lab, Rufi Etxeberria (scarcerato per decorrenza dei termini di carcere preventivo solo dieci giorni fa dopo due anni in attesa di un’udienza), Sonia Jacinto, Arkaitz Rodríguez, Amaia Esnal y Txelui Moreno. Fra gli arrestati ci sono anche Mañel Serra e Miren Zabaleta.

Le accuse, sempre secondo le rivelazioni di stampa, sarebbero sempre le stesse: costituzione della direzione di un movimento che agisce agli ordini di Eta. E’ il cavallo di battaglia di Garzon, che dal 1998 ha riempito le carceri con decine e decine di indipendentisti baschi che non si sono macchiati di nessun tipo di reato, per un teorema che vuole ‘di Eta’ tutto ciò che politicamente rivendica gli stessi obbiettivi: socialismo e indipendenza.

30 luglio 2014 – Son passati quasi cinque anni e rileggo queste righe scritte a caldo, anche con rabbia. Era il 2009 e sul tavolo di quella riunione nella sede del sindacato Lab a San Sebastian c’era l’embrione di quella che diventerà la rivoluzione copernicana della sinistra basca. Il reato secondo le prime veline di stampa era legato alla costituzione della nuova dirigenza di Batasuna, partito messo fuori legge, e all’intento di coagulare forze sindacali e politiche basche per arrivare a un ‘punto di incontro’, in basco Bateragune, come strategia politica per le elezioni del 2011. Il tutto, secondo il magistrato ‘stella’ nell’alveo delle decisionidi Eta. Quindi un insieme di eterodiretti da fermare all’istante.

Oggi Baltasar Garzón è una vittima dello stesso potere politico giudiziario spagnolo, ma senza che questo possa muovere a particolare compassione, dal momento che fu lui a inventarsi, insieme alla politica popolare e socialista, il teorema del ‘todo es Eta’, che portò in carcere decine e decine di persone, militanti, indipendentisti non solo di sinistra, chiudendo giornali, con arresti che sfociarono in torture disumane, con effetti sulle storie delle persone che in alcuni casi non furono abbastanza forti nel fisico per reggere a quell’onda d’urto che si abbatté su di loro, sulle loro famiglie, nei loro affetti.

Oggi Baltasar Garzón è consulente per le vicende WikiLeaks di Julian Assange, pochi giorni fa ha criticato Israele per l’attacco sproporzionato sulla striscia di Gaza e ancor prima è riuscito a esprimersi anche sulla questione catalana dicendo che uno stato federale smonterebbe lo scontro. Più che la via di Damasco siamo nel regno dell’evoluzione di una carriera e di un posizionamento tardivo (anche se non si sa mai, perché il potere e la fama si perdono rapidamente e rapidamente hanno anche i loro colpi di coda).

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Ma nel 2009 Baltasar Garzón doveva smontare quella ricostituzione di una ‘cupola’ di Batasuna, la dirigenza veniva chiamata così dai media spagnoli in omaggio al lessico ‘mafioso’ per gettare ombre ancora più sinistre sulla storia del partito reso illegale dalle sentenze interessate della magistratura spagnola grazie a una legge, la Ley de Partidos politicos (27 giugno 2002) che sarà la base per ostacolare qualsiasi formazione e lista elettorale basca che potesse avere dei candidati che avessero anche solo avuto una tessera di Herri Batasuna, in base a un principio di apartheid politico che i legislatori chiamarono ‘principio di contaminazione’. In tutto ciò l’Europa democratica non mosse un dito, tantomeno a sinistra dove la parola nazionalismo rimase e rimane un capitolo impossibile da interpretare in omaggio a un sapere ortodosso di citazioni polverose.

Torniamo ad Arnaldo Otegi e agli arrestati. Come andò a finire? Qui c’è una cronologia del quotidiano Naiz, voce della sinistra basca. Dopo condanne incredibili, dieci anni di carcere, il Tribunal Supremo confermò la sentenza, ma abbassando le condanne, quindi il lungo lavorio degli avvocati per arrivare pochi giorni fa alla sentenza del Tribunal Constitucional che per 7 voti a 5, quindi con una spaccatura forte, ha negato la libertà ai condannati.

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Ma in questi anni la verità si è imposta: fin da subito per chi aveva notizie della grande rivoluzione in corso, poi con i fatti concludenti che hanno costellato il calendario fino alla dichiarazione di Alsasua, novembre 2009, quindi il 5 settembre del 2010 il video comunicato di Eta che annuncia di fermare le azioni armate mentre il documento Zutik Euskal Herria, voluto fortemente proprio dagli arrestati per il caso Bateragune, diventava terreno di discussione nella base della sinistra basca, che lo accettava e si lanciava nella costituzione di un nuovo movimento politico, Sortu (febbraio 2011) che accettava i principi Mitchell sulla via politica e non armata come unica via per il conseguimento dei propri obiettivi.

Otegi, e gli altri arrestati, avevano costruito i presupposti per quella rivoluzione, poi accettata dalla base e poi dall’organizzazione armata, pur con più di un mal di pancia. In questi anni le dichiarazioni a sostegno di Arnaldo Otegi si sono moltiplicate, specie dopo il 20 ottobre del 2011 con l’abbandono definitivo della lotta armata da parte di Eta. Ma quello che Bambi Zapatero definì ‘un uomo di pace’ resta in carcere. Voci autorevoli del giornalismo spagnolo, come il famoso giornalista Inaki Gabilondo, ha più volte ripetuto nei suoi video editoriali su El Pais che il governo e la magistratura spagnola stanno facendo la campagna elettorale perché Otegi diventi un giorno il presidente del governo basco, il lehendakari. E, in effetti, il parallelismo con Gerry Adams, più il carisma che Otegi ha conquistato in un intenso e costante lavoro politico, di mediazione, risposta e difesa dagli attacchi duri che sono venuti ‘in nome della legge’, fanno di lui un uomo che è già un simbolo e che queste sentenze di giustizia negata stanno ingigantendo ancora di più.

Ecco che cosa è il caso Bateragune, cosa significa l’hastag #freeOtegi, ecco perché in molti si fanno fotografare con il cartello con il numero del prigioniero Otegi, per mandare la propria solidarietà, che in un Paese, quello basco, che soffre da decenni vittime di conflitto è un sentimento ancora molto molto importante.

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Adesso l’ultima carta da giocare è con i giudici della Corte europea di Strasburgo, che è stata adita dai legali dei condannati. Son passati quasi tre anni dalla fine della lotta armata e quasi quattro da quella rivoluzione copernicana che ha dato piena soggettività politica al movimento della sinistra. A Madrid nulla si muove, se non un mantra stucchevole che denota mancanza di capacità di vedere il futuro, con il cinismo di sfruttare a pieno i sentimenti elettorali. D’altronde di figure che sono capaci di rinunciare addirittura a vivere una vita per degli ideali, e non per i fondi neri del casi Barcenas del Partido popular, non ce ne sono poi molte in questo periodo storico. Ma neanche poche. E di quelle ha senso scrivere, perché spesso non fanno notizia.

Ma la notizia c’è. Degli innocenti hanno scontato già quasi cinque anni in carcere per aver spalancato la porta a una possibile soluzione pacifica del conflitto. Chi più di loro meriterebbe aria, rami di alberi, mare e montagne, le proprie case al posto di una cella a centinaia di chilometri di distanza?

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