Calcio e dittature

Una storia sudamericana. Libro di Sergio Giuntini

di Christian Elia
@eliachr

4 agosto 2014 – Il calcio come strumento di consenso, il calcio come sedativo di massa e via dicendo. Di sicuro, però, il calcio è sempre stato importante (come lo sport in generale) come simbolo del rapporto tra politica e opinione pubblica.

Questo è il tema del libro di Sergio Giuntini, storico dello sport, Calcio e dittature – Una storia sudamericana, Sedizioni editore. Ovviamente legato al mondo caldo dell’America Latina, alla sua passione per il gioco più bello del mondo, ai golpe, ai golpisti, ai nazionalisti, ai militari.

 

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Cile, Argentina, Brasile, Uruguay, Bolivia, Paraguay, Salvador, Guatemala, Honduras. Storie note, tra La prima guerra del footbol e altre storie di Kapucinski e Splendori e miserie del calcio, di Eduardo Galeano. Tra stadi utilizzati come lager e partite che diventano metafore di conflitti.

Il libro di Giuntini ha il pregio di mettere tutte assieme una serie di storie raccontate singolarmente, cogliendone il filo rosso, quello del rapporto tra l’idea di patria e di popolo, alfa e omega dei regimi populisti e dittatoriali non solo in America Latina, e il calcio, allo stesso tempo patria-popolo-stato.

Una storia che racconta di calciatori complici e calciatori ribelli, di federazioni nazionali, continentali e mondiali sempre pronte a girarsi dall’altra parte, mentre qualcuno diceva no, come accadde nel 1978 in occasione dei mondiali di calcio in Argentina.

Una storia, però, che sarebbe assurdo legare solo all’America Latina, perché nazismo e fascismo furono i primi sistemi a cogliere le potenzialità dello sport come elemento di propaganda, fino ai paesi del blocco sovietico per tutta la Guerra Fredda.

Una lettura interessante, che appaga l’appassionato di calcio e quello che arde per la politica, anche quando sono la stessa persona.

 

 

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