La sciamana di Dashbalbar

Mongolia, al confine con la Cina, tra passato e futuro, un presente incerto, in transizione

 

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/05/foto.jpg[/author_image] [author_info]foto, video e testo di Tano Siracusa. Fotografa dagli anni ’80. Ha collaborato con numerose testate ed è stato direttore della periodico Fuorivista. Attualmente è coordinatore di redazione di Gente di Fotografia. Ha realizzato numerose mostre in Italia e all’estero. www.tanosiracusa.it[/author_info] [/author]

 

 

6 agosto 2014 – Lo sciamano a Dashbalbar è una sciamana, una donna anziana che ha recintato la sua abitazione con un muretto di migliaia di bottiglie vuote. Sembra l’installazione di un artista, ma in Mongolia l’arte è quella del riciclaggio, del riutilizzo. Molte abitazioni nelle città, nei villaggi, isolate nella steppa, sono vecchi vagoni ferroviari riadattati e rifunzionalizzati.

Il muro di bottiglie è solo un inconsapevole monumento di questa arte e un evidente indizio della insana passione dei mongoli per l’alcool che costituisce un problema sociale e sanitario soprattutto fra la popolazione maschile. Quella femminile è troppo occupata a dirigere il Paese nelle scuole, negli uffici, negli ospedali, nelle ong.

A Dashbalbar siamo vicini al confine con la Cina e lo si capisce anche dalle marche delle motociclette che vanno sostituendo i cavalli come mezzo di locomozione e di lavoro dei mandriani. Mucche, pecore, ma soprattutto cavalli e cammelli. Ce ne sono tanti in giro, e qui i bambini imparano a camminare e subito dopo a cavalcare. Ma chissà fino a quando. La Cina è vicina a Dashbalbar, e oramai sono vicine anche le multinazionali che da quattro anni estraggono dal sottosuolo del paese di Gengis Khan oro, argento, zinco, rame e carbone. Il boom è stato nel 2011, con un incremento del pil dell’17 per cento.

I canti delle sirene che provengono da Ulan Bator e dalle altre località dove le miniere attraggono manodopera stanno accelerando il processo di inurbamento già in atto da anni. Nella capitale, Ulan Bator, fra i casaggiati condomoniali tirati su dai sovietici, nei nuovi quartieri della vasta e informe periferia, fra le tende e qualche grattacielo, risiede quasi la metà della popolazione mongola. Molti non hanno casa e durante l’inverno rigidissimo (la temperatura scende sotto i venti gradi) trovano rifugio nelle scale degli alveari condominiali costruiti durante il regime comunista. In ogni pianerettolo c’è un cancello che impedisce a quelli ubriachi di bussare alle porte dei modesti appartamenti.

L’avvento della modernità postsovietica dissesterà presto anche qui antichissimi equilibri sociali e culturali, che il regime aveva di suo ampiamente sconvolto: a Ulan Bator l’unica, peraltro splendida testimonianza della Mongolia tradizionale, c’è un tempio dove viene custodita una gigantesca statua del Bhudda e dove i monaci officiano i loro riti davanti ai pochi turisti, mentre a Dashbalbar i funerali vengo celebrati senza alcun rito religioso.

Il comunismo sovietico ha zittito le campane delle chiese cristiane, il canto del muezzin, i gong dei templi buddisti. Ha cioè distrutto una delle radici più profonde dell’identità culturale e spirituale di un popolo. Ma ha costruito anche a Dashbalbar, villaggio di poche centinaia di famiglie sperduto nella steppa, una magnifica scuola, un ospedale, un teatro e addirittura un museo. D’altra parte l’ateismo rigoroso del passato regime cede il passo ormai al culto delle nuove deità che sono arrivate anche qui, fra i cavalli, i cammelli e i branchi di lupi-cani che si aggirano famelici per le strade in terra battuta, fra le case basse con i tetti di lamiera, nella luce tagliente che satura i colori. Le nuove deità sono i cellulari. Una domenica l’intera popolazione riempie il teatro dove una grande marca di cellulari è venuta ad esporre le sue preziose creazioni. Ci sono tutti, il sindaco, la direttrice dell’ospedale, quella del museo e la direttrice della scuola, le insegnanti e gli scolari, la sciamana e i due scemi del villaggio, centinaia di uomini e donne di tutte le età che poi la sera si ritroveranno per una grande festa. Canteranno in coro e balleranno, faranno tanti brindisi e sul palcoscenico si esibirà un famoso cantante. Nei corridoi gli uomini in divisa terranno a bada gli ubriachi, quelli che non capiscono più niente e vorrebbero solo entrare nella grande sala del teatro ormai buia, dove brillano come candele del nuovo culto le luci dei cellulari.

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