#HumanGaza21

Raccontando delle persone, delle vite, delle giornate di quelli che la guerra la pagano


di Q Code mag
@QcodeM

7 agosto 2014– L’ennesima punizione collettiva alla quale viene sottoposta la popolazione civile di Gaza, come tutte le altre, non porterà a nessun risultato. Sempre che il risultato non sia quello di nuovi lutti, di nuove distruzioni, di un odio che non potrà che crescere, ingrossando le fila di coloro che non hanno più alcuna fiducia in una soluzione giusta del conflitto.

Il governo israeliano, attraverso il suo esercito, ancora una volta scatena una pioggia di fuoco in risposta al lancio di razzi di qualche gruppo, come se ne fossero responsabili i civili di tutta la Striscia di Gaza. Che dieci anni fa, mentre festeggiavano la fine di un’occupazione, si sono resi conto di essere finiti reclusi in una prigione a cielo aperto. Cielo dal quale, a cicli alterni, piovono bombe.

Questa raccolta di pensieri (in quindici righe) vuole essere un racconto ‘altro’ di Gaza, reso da coloro che hanno avuto per i motivi più diversi la fortuna di incontrare l’umanità di Gaza, quella che non viene mai raccontata, da media che si ricordano di Gaza solo quando c’è un attacco, come se la vita a Gaza non fosse un inferno quotidiano. Ma anche nell’inferno la vita esiste e resiste, sempre, ogni giorno. Ed è questa resistenza di umanità che questa raccolta di voci vuole raccontare. 
Perché a un popolo si può togliere la libertà, ma non gli si può togliere l’umanità.

Se siete mai stati a Gaza, mandateci le vostre quindici righe all’indirizzo: redazione@qcodemag.it

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AGGIORNAMENTO – La tregua annunciata il 5 agosto sembra tenere. Le diplomazie di Egitto e Stati Uniti lavorano per prolungarla. Intanto il sanguinoso bilancio dei morti causato da Bordo Protettivo ha superato 1.800 per i palestinesi e 67 per gli israeliani. Gaza è distrutta. Noi continuiamo a ricordare il suo lato umano, attraverso la voce di chi ci è stato.

di Cecilia Ferrara, giornalista

Gaza è un porto con quasi tutte le barche a riva perché la marina israeliana permette la pesca  – e qualsiasi uscita in mare – entro tre miglia dalla costa e la vera pesca si inizia dopo le cinque miglia. Eppure il pesce di Gaza è famoso in tutta la Palestina. Oggi il pesce di Gaza è comprato dai pescatori egiziani, direttamente in mare aperto, o quello d’allevamento importato da Israele. Alcuni pesci arrivano dai tunnel del contrabbando con l’Egitto. Diceva un pescatore–ristoratore che compravano anche gli avanotti da Israele per allevarli, ma succedeva sempre che chiedevano alla ditta che li preparava per l’esportazione dodici ore di ossigeno per farli sopravvivere e i doganieri israeliani li tenevano fermi almeno 13 e gli avanotti arrivano tutti morti.

Gaza è Vittorio Arrigoni, che qui si sente e si vede ovunque, nei graffiti nelle foto e nei ricordi. Un buco nello stomaco per tante persone. «Sono uno dei primi che lo ha conosciuto quando è arrivato nel 2008 – dice A. – Cantavamo “Bella Ciao” all’hotel al Deira e poi lui mi sollevava di peso. Quando è successo mi hanno tenuto in prigione per due giorni e mi chiedevano se conoscevo Vittorio Arrigoni io dicevo “no, no, non lo conosco”. E loro dicevano che c’erano le mie chiamate sul suo telefonino. Poi mi hanno fatto vedere la foto e ho detto ‘Ma questo è Vik, il mio amico’: per tutti questi anni lo avevo sempre conosciuto come Viktor o Vik».

Leggi l’intero post direttamente dal blog di Cecilia Ferrara

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