Mercenari dell’Est

Bosnia, Ucraina, Siria e i soldati prezzolati che combattono dagli anni ’90

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-15-alle-20.39.17.png[/author_image] [author_info]di Francesca Rolandi. Storica, ha portato a termine un dottorato in Slavistica e si occupa di studi sulla Jugoslavia socialista. Ha vissuto a Belgrado, Sarajevo, Zagabria e Lubiana e ha provato a raccontarle per PeaceReporter, Osservatorio Balcani Caucaso, Cafebabel e Profili dell’Est[/author_info] [/author]

mercenari ucraina

 

9 agosto 2014 –Nelle ultime settimane, quando è salito alla ribalta della stampa internazionale il nome di Igor Strelkov (al secolo Ivan Grgin), leader dei separatisti ucraini, si è parlato anche del suo coinvolgimento nella guerra di Bosnia, facendo riemergere i molteplici legami che hanno collegato negli ultimi decenni diversi teatri di guerra. Sebbene dei combattenti stranieri nelle guerre post-jugoslave degli anni ’90, coinvolti in alcuni dei crimini più efferati, si sappia ancora poco, la loro memoria rimane tristemente viva. Inoltre, i legami internazionali consolidati all’epoca sembrano riemergere in contesti bellici contemporanei.

Della permanenza di Strelkov in Bosnia esistono delle fotografie che lo ritraggono a Višegrad nel 1992 posare a fianco di un mercenario russo e di un comandante serbo-bosniaco. Erano i mesi in cui la cittadina dove Ivo Andrić aveva ambientato il suo romanzo premio Nobel, “Il ponte sulla Drina”, era travolta dalla pulizia etnica che avrebbe portato alla morte di 3000 bosgnacchi e di questi fatti Strelkov avrebbe scritto nella seconda metà degli anni ’90 con dovizia di dettagli. Nel 2011 nei pressi di Višegrad, nella Repubblica serba di Bosnia, è stato inaugurato un monumento alla memoria dei paramilitari russi caduti durante la guerra di Bosnia, dei quali sono riportati 37 nomi.

Visegrad

Igor Strelkov a Visegrad, Bosni, nel 1992, con due mercenari russi

Se la storica fratellanza tra la Serbia e la grande madre ortodossa Russia data a ritroso nei secoli, uno spettro della comunanza d’armi ricreatasi nei primi anni ’90 pare riapparire in Ucraina proprio in questi giorni, dove una manciata di appartenenti al cosiddetto Movimento cetnico combattono inquadrato nelle formazioni separatiste filorusse nei dintorni di Lugansk, dopo essere accorsi in difesa della Crimea.

Un drappello folkloristico, barba e capelli lunghi, con un impatto militare marginale, ma che cura un marketing nazional-trash-patriottico. Come ha dichiarato il leader Bratislav Živkovic agli inviati del quotidiano scandalistico serbo “Kurir”, “la gente ci ama. Alcuni piangono dalla felicità perché sono arrivati i fratelli serbi, altri ci baciano le mani. Le donne si fanno fotografare con noi, ci portano cibo. Mi sono arrivate anche due proposte di matrimonio”.

Ma anche dall’altra parte della barricata non mancano i personaggi legati a doppio filo alle guerre jugoslave degli anni ’90. Come il mercenario francese Gustav Besson, che combatté nelle milizie di estrema destra croate HOS in Slavonia, e oggi lancia appelli al reclutamento di volontari per combattere in Ucraina nelle fila del battaglione Azov, associato al gruppo filo-fascista Pravyi sektor, composto da paramilitari locali e stranieri che si battono al fianco delle forze governative contro i separatisti filorussi. Una chiamata alle armi, sullo sfondo di un background politico nerissimo. Secondo notizie non confermate tra gli stranieri combatterebbero alcune decine di croati e il quotidiano “Slobodna Dalmacija” si è chiesto se sia possibile che estremisti serbi e croati si scontrino di nuovo nei campi dell’Ucraina orientale. Sebbene tale scenario venga già smantellato verso la fine del pezzo, il titolo raggiunge il suo scopo di voler essere di impatto.

È la Bosnia, tuttavia, il Paese che più si è dimostrato preoccupato dalle partenze dei suoi cittadini per teatri di guerra esteri, un timore che ha portato nel giugno 2014 all’approvazione di una legge che prevede delle sanzioni penali sia per chi combatte all’estero sia per chi organizza il reclutamento. Sarebbero 154 i combattenti bosniaci la cui presenza è accertata in Siria, una ventina i caduti, dei quali in alcuni casi si ricordano solo nomi di battaglia, in altri la reale identità.

Muaz Šabić

Muaz Šabić, combattente wahabita bosniaco morto in Siria

Come nel caso di Muaz Šabić, quarantenne di Zenica, la cui madre ha dichiarato alla stampa: “Lui desiderava essere un martire [uno shahid]”. Dei combattenti bosniaci in Siria la maggior parte apparterebbe al movimento wahabita, la cui presenza si fa risalire alla penetrazione saudita durante e dopo la guerra. Nel 1993 in Bosnia si formò il battaglione El Mudžahid, formato da volontari stranieri, veterani di guerra provenienti da Algeria, Afghanistan e altri teatri bellici, che combatté a fianco dell’esercito bosniaco durante la guerra di Bosnia. Alcuni dei suoi membri, che secondo alcune stime avrebbero superato le 3000 unità, si naturalizzarono nel paese sposando donne bosniache, sebbene a molti di loro sia stata revocata la cittadinanza in seguito a ripetute pressioni internazionali.

Oggi in Bosnia i wahabiti posseggono una piccola zona franca intorno a Gornja Maoča, un villaggio sito tra Brčko e Tuzla, un tempo abitato dai karavlasi – rumeni di fede ortodossa – e completamente distrutto durante la guerra. Si tratta di un’area che è stata più volte sotto i riflettori, sia come oggetto di spettacolari azioni della polizia bosniaca, sia per i ripetuti attacchi contro giornalisti che cercavano di accedervi. Secondo diverse testimonianze il villaggio sarebbe una vera e propria enclave nella quale vigerebbe la sharia ed esisterebbe una scuola nella quale i bambini studiano secondo il programma giordano. E proprio il leader di questa comunità, Nusret Imamović, pastore e produttore di miele nonché predicatore salafita, è considerato tra i maggiori responsabili del reclutamento dei giovani bosniaci. Verso la fine del 2013 Imamović sarebbe partito per la Siria dove sarebbe stato raggiunto dalla moglie e dai quattro figli. Il quotidiano bosniaco “Avaz”, citando una fonte ben informata, ha parlato anche di una spaccatura tra i volontari bosniaci in Siria, divisi tra il gruppo qaedista Jebat al Nusra e l’Esercito islamico dell’Iraq e del Levante.

La partecipazione di mercenari e volontari stranieri alle guerre dei Balcani degli anni ’90 ha rafforzato legami transnazionali, che spesso oggi sono alla base del reclutamento di aspiranti combattenti nei Balcani. In tutti questi casi si parla di numeri marginali, che hanno un impatto mediatico e simbolico piuttosto che militare.

Tuttavia, dove non arriva l’affinità ideologica, spesso arriva il denaro e in molte delle ultime guerre si è parlato della presenza di mercenari provenienti dalla ex Jugoslavia, individui ricercati per l’esperienza bellica e paramilitare maturata in patria. La loro presenza è stata segnalata in conflitti che hanno incendiato diversi angoli del mondo, dall’Iraq alla Libia alla Siria, con una rosa di ruoli che andrebbe dall’addestratore al cecchino. Un’internazionale della morte che fornisce i suoi servizi al migliore offerente, nell’era della globalizzazione.

 

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