Il governo italiano promette armi ai curdi, dimenticando le scelte del passato e privilegiando ancora la violenza al posto della politica. La mobilitazione della società civile italiana
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/07/149443_1453084330719_6152780_n.jpg[/author_image] [author_info]di Alessio Di Florio, da Chieti. Attivista di varie associazioni e movimenti pacifisti e ambientalisti abruzzesi e responsabile locale dell’Associazione Antimafie Rita Atria e di PeaceLink – Telematica per la Pace. Collaboratore delle riviste Casablanca – Storie dalle Città di frontiera, de I Siciliani Giovani, di Libera Informazione, Popoff Quotidiano e di altri siti web che si occupano di pacifismo, denunce ambientali(tra cui speculazione edilizia, gestione rifiuti, tutela delle coste, rischio industriale e direttive SEVESO), diritti civili, lotta alle mafie e altre tematiche[/author_info] [/author]
21 agosto 2014 – L’avanzata sanguinaria dell’ISIS in Iraq ha riacceso i riflettori dell’attenzione internazionale sul Kurdistan. I mass media e l’opinione pubblica italiana ne avevano completamente dimenticato l’esistenza da quando il Governo D’Alema consegnò il leader del PKK alla Turchia.
Le notizie sulle condizioni di detenzione di Ocalan in questi anni sono state tutte terribili, ma il Governo italiano non si è mai mosso e si è mai minimamente preoccupato… 11 anni dopo l’avvio della guerra che ha consegnato l’Iraq alla totale instabilità e le ha “regalato” la presenza del cosiddetto “terrorismo islamico”, davanti alla ferocia disumana dell’ISIS (in Siria totalmente ignorato dall’attenzione mediatica quanto sostenuto, addestrato e armato da “potenze occidentali” come recentemente ha “confessato” Hillary Clinton affermando che l’ISIS è “roba” statunitense ma “è scappato di mano”) l’unica soluzione prospettata dagli Stati dell’UE (Italia compresa) è quella di invio di armi ai peshmerga curdi, gli stessi che sono stati accusati di aver abbandonato le postazioni, lasciando così in balia della ferocia dell’ISIS le popolazioni di interi villaggi.
Mentre il PKK di Ocalan, che realmente sta combattendo contro l’ISIS, rimane nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. Contro questa scelta è attiva una petizione mentre in Italia un appello ai democratici italiani lo ha inviato nei giorni scorsi la “Rete Italiana di solidarietà con il popolo kurdo” chiedendo l’invio di aiuti umanitari e promuovendo una propria “raccolta di fondi per sostenere le decine di migliaia di persone rifugiate nel Regione del Rojava (Siria) dove resiste l’autogestione popolare protetta dalle YPG e dalle YPJ (Forze di difesa femminili) e nel Sud Kurdistan” . Una posizione ribadita dopo alcuni articoli di stampa che le hanno assegnato una posizione favorevole all’invio di armi ai peshmerga. La Rete Italiana di solidarietà con il popolo curdo ha, al contrario, affermato di essersi sempre espressa “contro interventi armati esterni nell’area o per armare una parte sul campo” ma a favore di “aiuti umanitari”.
L’impegno internazionale deve portare all’isolamento internazionale dell’ISIS (una chiara denuncia di chi li finanzia, addestra e arma …), al sostegno della “autonomia democratica nelle regioni kurde, da sud (Iraq) a Nord (Turchia), da est (Iran) a ovest (Siria)” a partire dalla “l’esperienza di autogoverno in Rojava (Kurdistan occidentale siriano) iniziata due anni fa, e che costituisce un potenziale modello per la convivenza pacifica e democratica fra i vari popoli del Medio Oriente” nel mirino degli “attacchi sanguinari di ISIS già da tempo e prima della loro aggressione in territorio iracheno,nel silenzio pressoché unanime della comunità internazionale”.
L’unica soluzione reale per la Rete Italiana di Solidarietà con il popolo kurdo è “una soluzione pacifica porterà a una stabilizzazione dell’intera area: al posto delle armi, si pensi piuttosto a dialogare con i kurdi, ad esempio togliendo il PKK, che si è mosso prontamente sul campo per aprire corridoi umanitari al fine di mettere in salvo la popolazione minacciata di massacri da ISIS, dalla lista delle organizzazioni terroristiche degli USA e dell’Unione Europea, e spingendo sulla Turchia perchè continui il negoziato con Öcalan che può mettere fine a un conflitto che dura da trent’anni”.
Contro l’invio di armi si è espressa anche la Rete Italiana per il Disarmo, chiedendo al contrario al Governo Italiano di sostenere un impegno internazionale a protezione delle popolazioni “che si attenga strettamente alle regole del diritto internazionale senza alimentare il conflitto”. Giorgio Beretta dell’Osservatorio OPAL di Brescia rivela che il Governo Italiano dovrebbe inviare “armi di fabbricazione sovietica sequestrate al trafficante Zhukov e detenute per anni nelle riservette dell’isola sarda della Maddalena” che una “una sentenza del Tribunale di Torino del 2006 mai resa operativa” prevedeva dovessero essere distrutte. Per questo viene chiesto “che venga subito aperta un’inchiesta parlamentare considerato che una parte di quelle armi pare sia stata inviata nel 2011 agli insorti di Bengasi apponendo da parte dell’allora governo in carica (Berlusconi IV) il segreto di stato”.
La stessa Rete Disarmo aveva precedentemente ribadito che “i conflitti e le crisi umanitarie che da settimane stanno scuotendo diversi paesi del nord Africa e del Medio Oriente (Striscia di Gaza, Libia, Iraq, Siria ecc.) non si risolvono inviando armi, ma sospendendo le forniture di sistemi militari a tutte le parti in conflitto e costruendo con impegno soluzioni vere e condivise” e che “la normativa italiana (la legge n.185 del 1990) vieta espressamente l’esportazione di materiali di armamento “verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere”.