Tra arrivi e partenze, tra vacanze e ritorni, gli invisibili stanchi di guerra
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/08/10609266_10153033542564918_1057618247_n.jpg[/author_image] [author_info]di Lucia Lanzini. Nata a Milano, 1989, ora mediatrice culturale per la cooperativa Farsi Prossimo, impegnata nell’accoglienza dei siriani che transitano per Milano. Laurea triennale in Mediazione linguistica e culturale presso università statale di Milano; laurea magistrale (ottobre 2013) in Lingue e civiltà dell’Asia e dell’Africa mediterranea presso Ca Foscari di Venezia. Entrambe le tesi hanno riguardato la situazione politica egiziana dal dopo Mubarak. Subito dopo la laurea, insegnamento della lingua italiana presso l’istituto Ahlan Egypt di Alessandria d’Egitto. [/author_info] [/author]
23 agosto 2014 – Agosto. Tempo di partenze e di arrivi, di corse all’ultimo posto, di valigie preparate in fretta. È tempo dunque di viaggi, di aerei, di treni. Ecco. Soprattutto di treni, che arrivano in Stazione Centrale, a Milano, carichi di persone che di certo non sono in spirito vacanziero. Da ottobre, il numero dei siriani che – scappati dal loro Paese in guerra, attraversando l’Egitto o la Libia e imbarcandosi verso la Sicilia – giungono stremati nel capoluogo lombardo è aumentato in modo esponenziale. Milano funge da trampolino di lancio per il “grande salto” verso il nord Europa, è la El Dorado per i popoli del Medio Oriente, il locus amoenus per chi da troppo tempo ormai vede e sente solo spari e sangue.
Mentre la presenza dei siriani in Centrale è ben nota all’opinione pubblica e alle autorità competenti, le quali non risparmiano commenti amari e carichi di ignoranza, esiste a Milano una realtà molto più silenziosa e resa poco evidente. Malgrado l’intolleranza dilagante, infatti, la città meneghina ha deciso di accogliere i siriani, in strutture specifiche in cui viene offerto un letto su cui dormire, pasti caldi, visite mediche e vestiti. E soprattutto la possibilità di riposare in un ambiente dignitoso, di riprendersi da un viaggio infernale e di organizzarsi per il salto finale.
Restano poco i siriani. In media quattro giorni; alcuni addirittura una notte, altri invece una settimana.
Eppure lasciano tanto. Perché quando si svuotano le camere dove hanno vissuto per quel breve periodo, si percepisce l’idea di fuga, di corsa, di “lascia perdere quello, non abbiamo tempo”, l’idea di fretta perché “la macchina ci sta aspettando”. E allora raccogli quello che – per forza di cose – è stato scartato, abbandonato, raramente dimenticato. Vestiti molte volte, e poi giochi, libri, vecchie carte, biglietti usati.
Nel giro di poco tempo, le famiglie scelgono che cosa portare nella loro “nuova vita” e che cosa invece lasciare di quella vecchia, ferita dalla guerra negli ultimi tre anni. È impossibile per chi entra in contatto con questi oggetti non chiedersi “chissà se era importante per qualcuno di loro, se ci tenevano? Chissà perché proprio quest’oggetto, dopo aver attraversato Siria, Egitto, sopravvivendo al Mediterraneo, è arrivato a Milano, ma non farà parte della loro vita in nord Europa?”. È notevole come la fuga, la spinta spasmodica verso un futuro migliore abbia reso immuni i siriani dalla dipendenza dagli oggetti.
Gli ospiti lasciano anche molti racconti. Come quello di Ahmad, un uomo di quasi cinquant’anni, con moglie e quattro bambini, scappato dalla Siria attraverso la Libia dove, mi racconta, la situazione è “insopportabile” e “non c’è il minimo rispetto per le donne, per nessuno”. “Perché vedi” – continua Ahmad – “io adesso sono qui e ti rispetto come persona e perché mi stai aiutando. In Libia tutto questo non esiste, c’è solo morte e guerra”.
Inevitabilmente, i siriani che transitano in queste strutture lasciano anche molta tristezza. Come quella che trapela dagli occhi di Asma, una donna di 32 anni, col volto da adolescente, che insieme al figlio di cinque anni si è imbarcata dall’Egitto per l’Italia, mentre il marito sarebbe arrivato dalla Libia. Già, “sarebbe”, perché Asma non ha più sue notizie da fine luglio, quando ha raggiunto le coste della Sicilia.
Eppure, riescono anche a lasciare della speranza, riflessa nei visi di Jasmine e Shahad, due bambine di più o meno sette anni che si divertono a mettere i fiori del giardino nelle toppe delle porte e i cui genitori hanno sempre riempito di benedizioni e gratitudine chi li ha accolti. Questa famiglia parte oggi, per la Germania inshallah. Sì, perché è agosto, tempo di partenze e di arrivi, di corse all’ultimo posto e di valigie preparate in fretta.
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